Alessandro Di Battista, leader Cinquestelle emigrante in Sud America, dopo l'assoluzione della Sindaca di Roma, Virginia Raggi, dalle accuse di falso in relazione alla nomina di Renato Marra alla direzione Turismo del Campidoglio, tuona contro il mondo giornalistico apostrofandolo con termini come "pennivendoli e put***e", reo di Infangare sistematicamente, a suo dire, i grillini.
Una deriva che oscura il già discutibile leditto bulgaro di Berlusconiana memoria nei confronti di Santoro, Biagi e Luttazzi. Ma se apparentemente è la forma usata da Di Battista a suscitare qualche dubbio nella dottrina democratica dei Cinquestelle, in una analisi più approfondita si scoprono retaggi sociali ancestrali che faticano a venire meno.
Nell'intreccio di corsi e ricorsi che attraversano la storia della nostra società, si ritrova, come una costante, l'abitudine a declinare il "mestiere più vecchio del mondo" in una forma tale da stigmatizzare un qualsivoglia comportamento scorretto o inopportuno.
Una costante che, seppur apparentemente innocua, mostra quanto pochi siano stati i passi in avanti compiuti nella riqualificazione della figura femminile all'interno della società, rimasta ancorata ad oscurantismi ritmi che, allontanandosi dai processi di secolarizzazione annunciati e mai del tutto avviati, stanno rallentando il progresso nella nostra - a parole - società del benessere.
La 'put***a' è donna non per definizione, ma per condizione sociale
Si definisce "put***a" un politico corrotto, un imprenditore amorale, un personaggio ruffiano, anche se i sostantivi usati sono grammaticalmente di genere maschile. Una condizione che, ora, ha ottenuto il benestare anche del mondo politico, da sempre opportunamente ignavo sull'argomento, ma il cui comportamento, nascosto nella (mal)celata intimità delle proprie camere, ha contribuito a dare voce, con la propria ambiguità, ad una cassa di risonanza, silenziosamente assordante, che ha gettato la donna nel baratro del proprio peccato originale.
Soggiogarsi a coloro che detengono l'esercizio del potere di turno è una abitudine che non conosce genere o sesso e si consuma in ogni ambiente professionale, senza distinzione di ceto o categoria sociale, spinta unicamente dal desiderio di soddisfare le proprie necessità e le proprie aspirazioni. Ma l'Italia ha intrapreso, oggi, un percorso di avanzato cinismo, nel quale la libertà di pensiero, che farebbe del Bel Paese la Terra dei Liberi, non è intesa come un mezzo per sostenere anche ciò a cui ci si oppone, ma solo per appoggiare ciò che è comodo appoggiare per aggraziarsi il cosiddetto popolo sovrano.
In questo scenario, dietro il paravento dei pericoli che mettono in discussione la libertà di stampa, di parola o di pensiero, si cela un vero malessere sociale, nel quale la donna annaspa travolta da quel fango di vulgata popolare, che la vuole "put***a" per definizione, sia essa single, maritata o professionalmente in carriera. E se il potere di turno cavalca questa vulgata per i propri obiettivi, le presunzioni di cambiamento rimangono solamente una meravigliosa illusione.