Hammamet, il film, è arrivato nelle sale cinematografiche il 9 gennaio. A distanza di alcuni giorni e soprattutto oggi, 19 gennaio, in occasione del ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi, può essere utile chiedersi perché bisogna vedere questo lungometraggio che è un ritratto autobiografico - talvolta amaro e decadente - sugli ultimi mesi di vita di un politico indimenticato e molto discusso.

Il racconto si apre con una definizione temporale che fa sorgere qualche dubbio: "Era il secolo scorso". Quasi come se i fatti accaduti appartenessero ad un periodo così lontano da legittimare il pensiero comune che ciò che si è verificato allora non possa più ripetersi nel presente o quasi non ci riguardi perché la realtà semplicemente non è così.

Niente di più sbagliato.

Hammamet è una pellicola che bisognerebbe vedere perché, come si dice nel film, "la democrazia ha un costo", e quel costo è a carico proprio di chi compone quel sistema democratico. Dunque, il primo motivo per cui si dovrebbe seguire il lavoro di Gianni Amelio è il seguente: la politica non è selettiva. Riguarda tutti indistintamente e determina, essendo intrinsecamente deterministica, il nostro tutto.

Craxi era un uomo malato

Nel film non c'è solo il racconto degli ultimi anni di vita di un uomo sicuramente fuori dal comune. Bettino Craxi era il presidente osannato dell'allora Partito Socialista che aveva nel garofano rosso il simbolo di un concetto politico rivoluzionario.

"Un politico deve aiutare tutti", si dice nel lungometraggio, e certi diritti non possono essere sottratti o viceversa riconosciuti in base ad evidenze che siano diverse dall'esistenza stessa.

Inoltre, non mancano riflessioni su quel modo di fare politica che è stato oggetto di una lunga diatriba nelle aule di giustizia, anche se certe obiezioni scriminanti si ripetono più volte ("quel tesoretto non è mai stato trovato").

Ad ogni modo, Craxi appare semplicemente come un uomo malato, e forse ancora prima condannato e lasciato solo da chi aveva contribuito a determinarne l'ascesa.

"Sentivo troppa sete", è questo il primo sintomo di cui si è reso conto, una sensazione seguita da una diagnosi che risuona quasi come un verdetto che dà la misura ingrata di quale morte si dovrà morire: "Si tratta di una malattia genetica, non si può guarire".

In realtà, a quanti di noi capita drammaticamente di sentircelo dire? Nel caso di Craxi, la malattia riguarda il fisico, ma l'anima, seppure a fatica e con rabbia, è severa, vigile e ferma. E decide che se un intervento chirurgico importante può rappresentare l'ultimo viaggio, questo deve avvenire lontano dall'Italia. Forse per restituire una dimensione "etica" al suo vissuto, probabilmente per affermare a se stesso e agli altri: "Io, nonostante tutto, ci ho creduto veramente".

Quale altra consolazione ne potrebbe conseguire se non che si ingrassa per recitare, si soffre per recitare e si muore per recitare. I tre dogmi dell'esistenza umana perdono la loro complessità e sono alla portata di chiunque.

Pierfrancesco Favino è straordinario nella sua interpretazione: entra pienamente nella parte e fa suo il personaggio, esprimendone tutte le contraddizioni: umori e malumori, forza d'animo e paure, arroganza ed umiltà.

Claudia Gerini è la donna che tutte vorrebbero essere

Nella pellicola è solo l'amante, l'altra donna a cui: "Bettino pensa sempre, soprattutto ora che è solo". Se questo può essere vero in Hammamet, non lo sarebbe altrettanto nella realtà, e anche lei ha un cognome, cioè Gerini. La sua interpretazione fa passare la voglia alle donne normali di essere le mogliettine perfette in pigiama di pile, trepidanti e goffe nel tentativo (forse inutile) di tenere acceso un fuoco che ormai non c'è più (perché rimane indubbiamente solo quello del caminetto). E cosa dire del fisico? Voluttuoso, perfetto, candido. Basta un aggettivo per definirla: splendida.