La guerra in Libia non è finita. Anzi rischia di essere solo agli inizi, e di trasformarsi da guerra civile locale a scontro diretto tra le molte potenze in gioco. La Conferenza di Berlino ha infatti sancito solo una tregua fragile e senza garanzie per il futuro del Paese nordafricano, una tregua che sembra difficile possa reggere all'urto delle poderose forze in campo. A meno che, come è stato proposto quasi senza ascolto dal governo italiano, non si invii un contingente militare di interposizione tra le due parti, sul modello del Libano. Ma questa opzione sembra lontana dal potersi realizzare.

Il generale Haftar deve rimandare la spallata finale

Il generale Haftar è da otto mesi alle porte di Tripoli ed ha già il predominio sulla Cirenaica e su gran parte della costa e del territorio interno. E quel che più conta anche dei più importanti campi petroliferi, delle pipelines e dei terminal da dove parte il gas liquefatto che viene trasportato all'estero. Già sabato 18 gennaio, il giorno prima del summit di Berlino, 'l'uomo forte' di Bengasi ha fatto capire di poter spegnere a piacimento gli impianti e bloccare il flusso di petrolio. Appoggiato da Francia, Egitto, Emirati Arabi ed altri, Haftar sa che deve aspettare il momento giusto per dare la spallata al governo 'legittimo' di Al Serraj, insediato a Tripoli e ufficialmente sostenuto dall'Occidente.

Il problema più serio per lui è che adesso deve fare i conti non tanto con il suo avversario interno, ma con nuovi attori forti che sono entrati sulla scena. La Russia naturalmente, sul piano diplomatico e di influenza complessiva, e la Turchia sul piano economico e militare. Erdogan, nella sua nuovo Politica espansionistica, ha già fatto approvare l'invio di soldati turchi in Libia in caso di necessità: il 'Sultano' di Istanbul si aspetta dal governo di Tripoli vantaggi concreti per lo sfruttamento delle risorse del Paese.

L'Italia ridotta ad un ruolo marginale

Una situazione, dunque, che sul piano strategico si è molto complicata per il generale Haftar, che ora rischia davvero di fermarsi. A meno che non provi a forzare il blocco politico-militare imposto da Berlino e a dare la spallata finale alla capitale del Paese. Ma sa che non tutti potrebbero sostenerlo in questo azzardo che potrebbe scatenare una guerra ben più ampia di quella per procura che si sta svolgendo da anni sul suolo libico.

Se l'Italia, come molti autorevoli esperti e commentatori affermano, ha perso il suo ruolo importante anche sulla sponda Sud del Mediterraneo, altri invece l'hanno aumentato notevolmente e puntano a farlo pesare sul piano internazionale. Anche in funzione di una futura spartizione della Libia stessa, nel caso al generale di Bengasi venga spiegato dai suoi finanziatori che la lotta è terminata.

Dove sono gli Usa?

In questo quadro confuso e molto pericoloso, dove ai due schieramenti principali si sommano i movimenti oscuri di altre milizie armate e di tribù presenti nel Sahara, spicca l'assenza apparente degli Stati Uniti. Per alcuni esperti come Thierry Meyssan ( voltairenet.org) gli americani aspettano solo che tutti i contendenti si sfianchino in questo duro confronto, per poi intervenire quando il caos sarà terminato. Per altri la partita invece la stanno giocando da tempo in forme defilate. Di certo per la Libia del dopo Gheddafi la pace è ancora lontana.