Il presidente Assad in una recente intervista all’emittente americana Fox News, ha ammesso apertamente il possesso di armi chimiche da parte del suo paese. Ammissioni che se da una parte confermano i timori americani, dall’altra vengono prontamente smentiti dallo lo stesso Assad che dichiara fermamente, che il famoso attacco chimico del 21 agosto effettuato alle porte della capitale, non sia stato organizzato dal suo regime, o meglio dai militari a lui fedeli, ma dalle forze “ribelli”.

Uno scarico di responsabilità che però non rasserena gli animi degli stati occidentali, America in testa, che rimangono, se non scettici, almeno dubbiosi sul buon esito delle trattative russo-siriane.

Tuttavia ad allontanare, almeno per il momento, lo spettro di un possibile intervento armato, è la volontà da parte del presidente Assad di iniziare uno smaltimento delle armi non “convenzionali” in loro possesso. Processo che richiederà però, più di un anno e che comporterà la spesa presunta di un miliardo di dollari.

Fondi difficilmente reperibili, in questo particolare momento dalla Siria, che infatti già cerca partner internazionali disposti coraggiosamente, come ironizza lo stesso presidente siriano, ad assumersi i rischi derivati dallo smaltimento di tali armi.

Una dichiarazione quella resa all’emittente statunitense dal presidente siriano, che per qualcuno sembra essere fatta per prendere tempo più che per un reale desiderio di risolvere la crisi interna al suo paese.

Ad alimentare ulteriormente queste voci, vi è infatti l’ennesima richiesta da parte del rais di Damasco all’America, di non fornire più armi ai ribelli. Ribelli che come ha ricordato lo stesso Assad alla Fox news, sono solo dei gruppi di “terroristi” jihadisti ispirati dagli ideali di Al Qaeda.

La teoria portata avanti dal regime governativo, che questa non sia più una guerra civile, bensì un attacco vero e proprio da parte di Al Qaeda, arriva a poche ore dalla caduta della città siriana di Azaz, sul confine turco. Conquista portata a segno proprio da insorti manipolati, a detta del regime siriano, da gruppi jihadisti.