L'orribile morte di Nicola, bambino di tre anni nato in carcere e morto ammazzato in un auto poi data alle fiamme, ha sicuramente riaperto il tema sulla lotta dura alla criminalità organizzata.

Una criminalità che sempre più sta facendo sentire la sua morsa sulla vita civile del nostro Paese. Una idea ben radicata che trova fermento e prosperità nella povertà e nell'abbandono in cui versano intere città e società della nostra penisola.

Sicuramente questo efferato atto di violenza disumana su un bambino di tre anni non può e non deve rimanere impunito, al contrario deve essere resa giustizia.

Ma quale giustizia?

Il rischio che si sta correndo, leggendo i vari articoli e commenti che spopolano sul web, è quello di ricorrere ad una giustizia sommaria, per lo più violenta, che non risolverà mai il problema, ma che al contrario rischierà solo di inasprire ancora di più questa lotta fra stato e mafia. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria!

Ad esempio l'articolo molto duro dal titolo "Il boia di Nicola merita l'inferno", che inizia con l'invocazione della pena di morte e finisce con l'auspicare l'annientamento definitivo di tutti i mafiosi, a mio avviso, rischia solo di generare una spirale di violenza proprio a partire dal web.

Infatti il web è un mondo molto instabile, che se da un lato è veicolo di tanta informazione alternativa, dall'altro è anche terreno fertile per la disinformazione e per atteggiamenti violenti.

La verità è che con la sola forza, come si è potuto constatare, non si ottiene nulla. La lotta alla mafia è prima di tutto lotta alla povertà e all'ignoranza, come sosteneva don Pino Pugliesi. Solo investendo ed educando i giovani ad un nuovo senso civico e alla cultura si potrà togliere manovalanza alla mafia. Solo così il terreno fertile dove le mafie coltivano i loro ideali potrà diventare sterile.