Prendere a bersaglio il Capo dello Stato non è solo temerario, ma, in tempi normali, può rivelarsi un suicidio politico, soprattutto se oggetto della polemica sono vicende strettamente personali per le quali si ritiene, a torto o a ragione, di essere stati ingiustamente penalizzati.
Nelle sue più recenti esternazioni Silvio Berlusconi ha compiuto un altro dei suoi doppi salti mortali affermando in modo che più esplicito non si può che il presidente Giorgio Napolitano non solo doveva concedergli la grazia ed evitargli così di scontare la pena conseguente alla sua condanna per frode fiscale, ma era tenuto a farlo "motu proprio", cioè di sua iniziativa e senza bisogno di richiederglielo.
Inoltre il Primo cittadino non sarebbe stato "super partes" perché spingeva Fini perché lo mandasse a casa e complottava con Monti per sostituirlo a capo del governo.
Non si può certo dire che l'attivismo dimostrato, a dispetto dell'età, della massima carica dello stato nel corso del suo secondo settennato sia stato esente da critiche o anche solo da valutazioni contrastanti (la definizione "governo del Presidente", che in una repubblica parlamentare come la nostra ha una accezione negativa, è entrata nel lessico politico più recente proprio con riferimento all'uomo del colle) ma una cosa è la dialettica politica, anche serrata, altro sono le accuse al vetriolo.
Ma il leader di Forza Italia è fatto così, non ama le mezze misure, tende ad alzare l'asticella sempre un po' più in alto e ormai nella sua lunga rincorsa verso il traguardo delle elezioni europee non si ferma davanti a niente.
Ma quanto gli giova sferrare attacchi all'arma bianca contro la prima carica dello stato? Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oltre che essere il massimo rappresentante e garante delle istituzioni repubblicane e una personalità politica di prim'ordine, è un personaggio pubblico che gode della simpatia e dell'ammirazione di larga parte del paese.
Puro autolesionismo, dunque?
Improbabile. Berlusconi, al quale nulla sfugge delle tendenze e dei cambi d'umore repentini del ventre molle del corpo elettorale, si è accorto da tempo che Beppe Grillo, che col presidente Napolitano non è mai stato tenero, non ne ha risentito negativamente, anzi. Il suo partito, il M5S, è accreditato al secondo posto nei sondaggi pre-elettorali, quasi testa a testa col PD e questo significa che criticare apertamente la prima carica dello stato non è più un tabù e che si può andare anche oltre.
Ma soprattutto sa, da buon imbonitore, che, in frangenti come questi, la visibilità conta più di ogni altra cosa, più dei candidati, più dei programmi e che per mantenersi all'apice della popolarità bisogna sempre avere i riflettori puntati addosso, fare notizia, far parlare di sé. Sa perfettamente di avere gli occhi del Tribunale di Sorveglianza di Milano puntati addosso, ma è altrettanto certo che se si aprisse un casus belli anche su questo versante la sua visibilità raggiungerebbe il diapason.
In questo, comunque la si pensi, occorre riconoscere che è un vero maestro.