La vittoria di Virginia Raggi a Roma era nell'aria. Quella diChiara Appendino a Torino è da considerare il vero colpo grosso del Movimento 5 Stelle. I nuovi sindaci pentastellati saranno in grado di governare? Il tempo darà una risposta in tal senso. Di certo le indicazioni che sono arrivate da molti Comuni già amministrati dai "duri e puri" grillini sono abbastanza desolanti e dimostrano a chiare lettere come una propaganda di facile consumo indirizzata ad evidenziare gli errori degli altri sia fin troppo facile. Trovarsi al governo è ben altra cosa.
La sconfitta del 'dinosauro'
I dubbi sulle capacità amministrative dei nuovi sindaci di Roma e Torino sono, per il momento, prematuri. Oggi è il Partito Democratico a dover riflettere su una pesante sconfitta. Come già detto, la partita più importante i renziani l'hanno persa a Torino dove era candidato il sindaco uscente Piero Fassino. Politico di navigata esperienza, pezzo da novanta del suo partito ed ex segretario Ds, è uscito dal ballottaggio come una sorta di dinosauro in via di estinzione. Il recupero di Chiara Appendino sotto il profilo numerico è sensazionale. La candidata grillina dopo il primo turno accusava qualcosa come 11 punti percentuali di ritardo ed al ballottaggio ha sopravanzato il sindaco uscente di 9 punti.
Ad appoggiarla sono stati certamente i voti del centrodestra ma Fassino, dato per vincitore al primo turno fino a pochi mesi fa, paga la realtà attuale del capoluogo piemomentese tra le grandi città più in crisi del Nord Italia.
Le 'autoreti' del Pd
Se Virginia Raggi è stata sospinta dal vento di "Mafia Capitale", la Appendino ha trasformato in voragini tuttele crepe del suo consumato avversario le cui truppe, nel momento in cui hanno annusato la disfatta, hanno tentato di tutto pur di convincere i torinesi a non votare la candidata del M5S.
Riteniamo che l'allarme lanciato dal ministro delle riforme, Maria Elena Boschi, sul pericolo che una vittoria di Chiara Appendino potesse mettere a rischio i 250 milioni già stanziati dal Governo Renzi per la Città della Salute, sia stata una delle tante "autoreti" del Pd in questa campagna elettorale. Più che un avvertimento, è sembrato un ricatto.
Per non parlare dei 20 mila posti di lavoro promessi dallo stesso Fassino in un proclama di berlusconiana memoria. I torinesi hanno deciso di voltare pagina e se sarà più fruttuosa della precedente, torniamo a dire che soltanto il tempo potrà dare una risposta.
Governo Renzi verso l'epilogo?
Quella di Matteo Renzi è una corsa contro il tempo. La sconfitta dalle urne è arrivata, netta ed inequivocabile. Il vero "nemico" dell'esecutivo ha un volto e non è quello di un centrodestra moderato rappresentato da Silvio Berlusconi, ormai prossimo alla "pensione politica", e neppure quello di una destra populista guidata da Matteo Salvini, il cui passato secessionista pesa come un macigno e gli impedisce, materialmente, di raccogliere consensi al di sotto della riva meridionale del Po.
L'avversario politico ha invece il volto nuovo del Movimento 5 Stelle, i cui esponenti spesso sembrano fuoriusciti da un'assemblea d'istituto di un liceo piuttosto che da un Parlamento ma offrono, almeno sulla carta, la possibilità di un cambiamento. Ad ammetterlo è stato lo stesso Matteo Renzi, definendo il risultato elettorale come il frutto di "un voto di cambiamento e non di protesta". Ed il fatto che il premier abbia ripetuto le stesse parole di Beppe Grillo la dice lunga sul clima che regna all'interno del Pd che, con una lancia conficcata sul groppone, si appresta ora ad intraprendere la dura strada verso il referendum costituzionale di ottobre. La paura, i renziani non lo dicono ma lo pensano, è che possa andare in replica il copione delle amministrative con le opposizioni unite e vincenti in una consultazione che stavolta, se non passasse la riforma Boschi, farebbe franare qualunque credibilità dell'esecutivo. Se così fosse, il Governo Renzi ha i mesi contati.