Dopo aver incassato la fiducia del Senato con 169 sì, il governo guidato da Paolo Gentiloni prende ufficialmente vita. Un esecutivo copia e incolla, si è detto e ridetto, costruito nello stesso perimetro del precedente esecutivo. Due gli assenti di lusso: Matteo Renzi e Denis Verdini. L’ex premier aveva annunciato il suo passo indietro in caso di sconfitta al Referendum Costituzionale e a poco sono servite le rimostranze di Mattarella per confermarlo. Renzi ha in mente altro e un nuovo incarico a Palazzo Chigi avrebbe significato soltanto un intralcio alla sua vera scalata politica.

Gli obiettivi dell’ex sindaco di Firenze sono chiari a tutti: sconfiggere la minoranza PD nel prossimo congresso e ricandidarsi come leader del centrosinistra nelle elezioni in primavera. Due orizzonti possibili proprio grazie all’esecutivo di Paolo Gentiloni. Il governo appena varato è stato scelto e partorito di concerto con Area Dem che fa capo a Dario Franceschini. Un’alleanza che porta in dote a Renzi la maggioranza piena all’interno del partito e che neutralizza la minoranza PD.

La gaffe di Poletti

Per ciò che concerne lo scenario delle elezioni anticipate entra in gioco il ruolo di Verdini. L’ex braccio destro di Berlusconi non ha votato la fiducia al governo Gentiloni, facendo mancare quel margine di voti indispensabile per consentirgli di lavorare con una certa stabilità.

Lo stesso premier, renziano di ferro, è conscio del fatto che la legislatura potrà concludersi anticipatamente. Quando? È questa la domanda che in molti si pongono e alla quale ha dato risposta (in maniera sciocca) il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. “Si tornerà alle urne prima del referendum sul jobs act - ha affermato - perché le elezioni anticipate lo farebbero slittare così come prescrive la legge”.

Un’ammissione più che un’opinione, che ha fatto imbestialire Renzi e non solo. Le parole di Poletti hanno risvegliato la minoranza PD che ha attaccato con Roberto Speranza: “Più che invocare le urne per evitare il referendum, si lavori subito per modificare il Jobs Act”. Critiche anche dalla segretaria Cgil, Susanna Camusso: “Bisogna confrontarsi con i problemi invece di rinviarli”.

Giannini paga per tutti

Nella continuità tra gli esecutivi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, l’eccezione alla regola è rappresentata da Stefania Giannini. L’ex titolare all’Istruzione è stata bocciata senza appello dal giovane leader perché considerata la principale artefice dell’emorragia di voti per il Referendum Costituzionale. La riforma della Buona Scuola - disegnata dalla Giannini ma sostenuta in prima persona da Renzi - ha perforato un serbatoio elettorale da sempre vicino al centrosinistra. Eppure c’è chi ha fatto uguale, se non peggio di lei. Impossibile non citare la promozione incomprensibile di Maria Elena Boschi nuovo sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio (madrina delle Riforme Costituzionali naufragate) o di Luca Lotti al quale è andato il ministero dello Sport.

Due scelte che puzzano di vecchia politica e che offrono il campo a chi, come il M5S, ha costruito il suo consenso sulla propaganda antisistema. In tal modo, pur restando fuori dalla contesa, Renzi si è assicurato il controllo totale di Palazzo Chigi. Una mossa astuta o un nuovo colossale errore?