Dopo più di un mese di armonia alla guida del governo, Salvini e Di Maio hanno dovuto fare i conti con la realtà. Per quanto apparentabili nella loro capacità di cavalcare l’onda del populismo, Lega e Movimento5Stelle appartengono a universi contrapposti per ciò che concerne idee e finalità. Il matrimonio ha funzionato e funzionerà fin quando i due amanti rispetteranno la libertà d’azione dell’altro, in un gioco di compromessi dagli equilibri piuttosto sottili. Salvini, in particolare, ha già dimostrato di non aver alcuna intenzione di stare a guardare, o meglio, non è disposto a digerire provvedimenti ben lontani dalle volontà del popolo del Centrodestra.

Un’area ormai orfana dell’antico catalizzatore Berlusconi e che ora pende dalle labbra del leader del Carroccio. Non è un caso che Salvini stia spingendo a tavoletta sul tema dell’immigrazione, divenuta all’improvviso per l’opinione pubblica come il male di tutti i mali. Il potente ministro dell’Interno è stato molto bravo ad amplificare l’arma del sensazionalismo che gli ha fatto guadagnare immediatamente consensi, a discapito in primis dal suo alleato di governo. Di Maio ha tentato a dire il vero di non farsi stringere all’angolo, ma è stato costretto a piegarsi con buona pace della base ortodossa grillina. Non sono mancate le critiche al capo politivo che ha provato a recuperare sul tema del Lavoro.

L’OPA di Salvini sul governo

Dall’immigrazione alla giustizia, dalla sicurezza al decreto dignità. Non c’è un capitolo aperto sul tavolo del governo in cui Salvini non abbia fatto valere la sua leadership. Superando i propri poteri scientificamente ripartiti nella genesi del famigerato contratto, il leghista ha imposto rotta e cambiamenti facilitato anche dall’inesperienza del giovane Di Maio.

Giocando costantemente al rialzo Salvini ha però esagerato come tutti coloro che fanno fatica a riconoscere i propri limiti. Dallo stop alle navi delle Ong cariche di migranti, si è passati repentinamente al blocco generale dei porti addirittura per le missioni condotte dalle forze militari e civili italiane. L’ultimo caso della nave della Guardia costiera Diciotti ha risvegliato quantomeno l’orgoglio dei pentastellati: il ministro delle Infrastrutture Toninelli e Di Maio hanno criticato pubblicamente il potente collega, salvo poi spegnere ogni tensione dopo un vertice chiarificatore a Palazzo Chigi.

Nonostante le rassicurazioni di facciata, Salvini è partito alla volta di Innsbruck in un vertice informale con i suoi omologhi di Germania e Austria. Un patto a tre che ha sancito “l’asse dei volenterosi”, finalizzato a frenare le partenze dei migranti dai loro Paesi e conseguentemente gli sbarchi per l’Europa.

Conte assente ingiustificato

Spettatore pagato delle ultime vicende e polemiche dell’ultima settimana è stato Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio è praticamente sparito, divenendo facile preda dei meme più ironici e satirici pubblicati sui Social Network. C’è chi ha chiamato in causa per scherzo persino Chi l’ha visto, la trasmissione di Federica Sciarelli che si occupa della ricerca degli scomparsi italiani.

Al di là dei sorrisi il ruolo marginale di Conte è la triste conferma dei sospetti che lo hanno accompagnato nel momento della scelta fatta da Salvini e Di Maio. È la prima volta nella storia della Repubblica che la quarta carica più alta è stata svuotata di una sua prerogativa fondamentale: concorrere alla definizione dell’indirizzo politico dello Stato. Conte si sta limitando a ratificare le scelte dei suoi potenti vicepremier, fungendo all’occorrenza da mediatore tra i due. Una subalternità confermata anche nel corso di tutti i vertici internazionali nei quali non ha rappresentato tanto l’Italia, quanto l’orientamento politico dettatogli da Roma. Il risultato? Soprattutto in tema di immigrazione Conte non ha ottenuto un bel nulla sui tavoli europei dove, a ragione, è considerato alla stregua di un portavoce privo di un potere decisionale indispensabile per farsi valere in qualsivoglia trattativa.