Le provocazioni propagandistiche del regime di pyongyang non si placano. La sfilata dei missili intercontinentali ICBM, il fallito tentativo di un nuovo test nucleare, l'agghiacciante video che simula un attacco diretto sul suolo americano e la quiete apparente nei siti nucleari, mettono a rischio la tenuta dei nervi e della cosiddetta pazienza strategica. Il vicepresidente americano Mike Pence si trova in Corea del Sud per sondare e rassicurare l'animo politico e civile, ma anche per visionare con i propri occhi quella zona demilitarizzata tra la Corea del Nord e quella del Sud.

L'incertezza regna sovrana. L'imminente arrivo della flotta USA è risultato un diversivo, tuttavia la via diplomatica capitanata dalla Cina sarebbe accompagnata da una eloquente mobilitazione di mezzi e uomini verso il confine nordcoreano. E altrettanto starebbe facendo la Russia dello zar Vladimir Putin. Quindi potrebbe trattarsi di un pericoloso controllo e accerchiamento preventivo dei confini nordcoreani o paura che Kim Jong-un lanciasse un attacco nucleare?

Scenario da giorno del giudizio

La retorica utilizzata finora sia da Donald Trump che dai gerarchi di Pyongyang stanno alimentando una guerra di nervi iniziata qualche tempo fa, e qualora la diplomazia cinese e magari anche quella russa non riescano a contenere l'imprevedibile e superbo Kim, la situazione potrebbe precipitare inesorabilmente.

Ma i protocolli OPLAN e Kill Chain accordati tra gli Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud a difesa dei due paesi asiatici, e che prevedono la rilevazione, l'interruzione, la distruzione di eventuali missili non potrebbero essere considerati un'azione preventiva, giacché scatenerebbe l'inferno.

Kim Jong-un e i suoi più stretti collaboratori sono riusciti a creare un fortissimo arsenale difensivo, e più volte hanno ripetuto che se venissero “offesi”, avrebbero risposto con ogni arma disponibile, anche munite di testate atomiche.

Risposte proporzionali

Qualora Pyongyang lanciasse un massiccio attacco nucleare, i sistemi di intercettazioni disseminati nell'area non riuscirebbero a contenerli tutti e la vita di milioni di persone subirebbe una fine certa. In effetti, il complesso quadro decisionale che peserebbe sulle spalle e la testa di Trump dovrebbe essere risolto in questione di minuti, e quando gli eventuali missili nemici si trovassero già in volo.

Concetti strategici che gli esperti militari di tutti i paesi chiamano con differenti nomi in codice, e che prevedono una serie di teorie da mettere in pratica. Ma con la sapiente consapevolezza che una volta innescata una guerra, una risposta proporzionale all'attacco subito ad esempio, non sarebbe possibile. Perché la logica militare dice che bisognerebbe almeno neutralizzare il nemico. E per ora, gli attori in campo sanno che quei 15 kilotoni di resa esplosiva utilizzati nel lontano 1945 ad Hiroshima non sono nulla rispetto all'enorme capacità distruttiva delle cosiddette testate “morbide” W76/Mk4A da 100 kilotoni.