La Corea del Nord si prepara alla guerra e non è una novità. Kim Jong-un attende questo evento da anni, come se si trattasse di "un'ora segnata dal destino", tanto per citare un dittatore di casa nostra. In realtà l'ultimo baluardo di un comunismo traviato di stampo stalinista, dove regna il culto dell'immagine e dove tutto trasuda di autoritarismo con deliranti sequenze di orwelliana memoria, non è mai stato così vicino alla guerra negli ultimi 64 anni. Tanti ne sono trascorsi da quando è stato siglato l'armistizio che ha posto fine alla Guerra di Corea, tentativo non riuscito da parte del premier di Pyongyang e futuro 'presidente eterno', Kim Il-sung, nonno dell'attuale leader, di riunificare la penisola coreana.

Il triennio che costò la vita a quasi tre milioni di persone fu uno degli episodi più 'caldi' della lunga guerra fredda tra il blocco occidentale e quello socialcomunista. Il mondo di oggi rischia di trovarsi innanzi ad un nuovo scontro tra il regime nordcoreano e gli Stati Uniti d'America: è come riportare indietro di oltre 60 anni l'orologio del tempo. Ad affrettare le lancette ci sta pensando il giovane dittatore asiatico. I capi di Stato maggiore della Corea del Sud, riuniti a Seoul, hanno infatti diffuso la notizia di un nuovo test missilistico di Pyongyang, nonostante la diffida dell'ONU e le minacce statunitensi. Il lancio sarebbe fallito, ma per chi scalpita per 'dargli una lezione' conta poco il risultato, molto di più l'ennesima provocazione.

A tal proposito, fonti del Pentagono hanno confermato l'avvenuto test con il relativo fallimento.

Il 'pugno duro' di Donald Trump

La politica statunitense improntata sull'interventismo militare non è cambiata con Donald Trump, anzi si è notevolmente inasprita. In pochi giorni, il nuovo presidente degli Stati Uniti si è spinto ben oltre i suoi recenti predecessori: ha attaccato direttamente la Siria di Bashar al-Assad, cosa che Barack Obama si era sempre guardato bene dal fare per non creare una frattura insanabile con la Russia.

Negli ultimi mesi dell'amministrazione Obama, le relazioni diplomatiche tra Washington e Mosca si erano rapidamente deteriorate, ma oggi sono ai minimi storici come non accadeva probabilmente dalla crisi di Cuba del 1962. Al miliardario diventato leader della Casa Bianca piace parecchio 'mostrare i muscoli'. Il raid in Siria è un avvertimento nei confronti di Mosca, non militare ma politico: gli Stati Uniti non lasceranno 'carta bianca' al Cremlino ed all'Iran in Medio Oriente.

Quasi in contemporeanea, Trump ha iniziato a muoversi sull'estremo fronte orientale. Ha ricevuto il leader cinese Xi Jinping chiedendo, tra le altre cose, di fare da intermediario nei confronti della Corea del Nord. Lo scopo è quello di porre fine ai provocatori test missilistici di quest'ultima, ma oltre alla strada diplomatica ha dato ordine alla flotta americana di levare le ancore da Singapore e spostarsi nel Pacifico per presidiare la penisola coreana. In ultimo, lo sgancio della bomba MOAB in Afghanistan, l'arma più potente del mondo tra quelle non nucleari. L'obiettivo diretto erano i rifugi sotterranei dell'Isis, quello indiretto il regime nordcoreano.

La controreplica di Pyongyang

Gli echi delle esplosioni in Medio Oriente sono naturalmente arrivati a Pyongyang, insieme alla minacciosa flotta statunitense guidata dalla portaerei a propulsione nucleare 'Carl Vinson'.

Il regime ha scelto di mostrare a sua volta i propri muscoli. La risposta nordcoreana è stata affidata alle parole di Choe Ryong-hae, leader militare secondo in grado soltanto al dittatore Kim Jong-un. "Se gli Stati Uniti vogliono la guerra avranno la guerra, anche nucleare". Nel corso della parata del 15 aprile, organizzata per celebrare il 105esimo anniversario della nascita del padre fondatore della nazione, Kim Il-sung, sono stati inoltre mostrati i prototipi di missili intercontinentali che sarebbero in grado di raggiungere obiettivi a 10 mila km di distanza, pertanto anche gli Stati Uniti. L'arsenale a disposizione della Corea del Nord resta un grande mistero: c'è chi dice che si tratti di un bluff, altri sostengono che siano disponibili armi di distruzione di massa piuttosto obsolete e che la maggior parte dei prototipi, come quelli mostrati in parata, non siano mai stati sottoposti a test.

Secondo fonti ufficiose, le testate nucleari di Pyongyang sarebbero meno di dieci ed i missili a lunga gittata sarebbero soltanto quei pochi trasportati dai camion per le imponenti manifestazioni di propaganda. Ma sembra certo che le forze armate nordcoreane dispongano di un migliaio di missili a corto e medio raggio. L'obiettivo di un'eventuale reazione ad un attacco americano è certamente la vicina Corea del Sud, ma i missili di media gittata sarebbero in grado di colpire il Giappone o la base americana di Guam. Si ritiene inoltre che siano capaci di trasportare piccole testate nucleari. L'esercito di Pyongyang, che con oltre 1 milione e 100 mila soldati è il quinto del mondo per unità da combattimento, dispone anche di circa 5.000 tonnellate di armi chimiche.

L'incognita cinese, le preoccupazioni russe

La Cina è ovviamente la grande incognita di tutta la questione. La Corea del Nord è un alleato storico del Partito Comunista Cinese sin dal 1946, quando truppe guidate da Kim Il-sung sostennero sul campo i maoisti durante la guerra civile. Mao Tse-tung ricambiò il favore, inviando un imponente contigente di 780 mila uomini durante la Guerra di Corea negli anni '50, per supportare Pyongyang. Più di 60 anni dopo, l'unica cosa rimasta inalterata è l'atteggiamento nordcoreano verso l'occidente al quale la Cina non fa più la guerra, ma si propone come importante partner commerciale. Una guerra a due passi da casa avrebbe l'estrema contrarietà di Xi Jinping, il cui Paese è impegnato in ben altre rivoluzioni, ma le vecchie intese tutt'ora esistenti imporrebbero una presa di posizione a favore dello scomodo vicino.

Un possibile raid punitivo da parte degli Stati Uniti potrebbe scatenare la reazione nordcoreana, Kim Jong-sun non è certamente lungimirante in tal senso e, se il conflitto degenera, la Cina non può rimanere neutrale. Forti preoccupazioni giungono anche da Mosca, il regime di Pyongyang non è un alleato russo così come lo era ai tempi dell'URSS, ma di certo il Cremlino non vuole ritrovarsi con un conflitto, in cui si minacciano anche azioni nucleari, al proprio confine orientale. È inoltre evidente che tanto Vladimir Putin, quanto Xi Jinping non possono sorridere all'idea di un'azione militare USA che avrebbe il duplice obiettivo della deposizione di Kim Jong-un e di una penisola coreana riunificata sotto l'influenza della Casa Bianca. Ci chiediamo, a questo punto, se davvero Trump ritenga 'inevitabile' l'intervento militare in Corea e se,allo stesso modo, abbia riflettuto sulle possibili conseguenze.