Il Russiagate assume sempre più i connotati di una spy story e sembra inchiodare Donald Trump e la sua politica. Il secondo atto dello scandalo concerne l'incontro avvenuto tra il presidente americano e il ministro degli Esteri russo, l'11 maggio scorso. Convocato alla Casa Bianca, Sergej Lavrov avrebbe ottenuto da Trump rivelazioni top secret avute da Israele. Informazioni riguardanti "attentati che l'Isis stava preparando con l'uso di laptop sugli aerei", come riporta Repubblica di mercoledì 17 maggio.
Il Russiagate, atto secondo
Le relazioni tra Russia e America si fanno per la seconda volta equivoche per Trump, che perde la faccia non solo tra i suoi sostenitori in America, ma anche agli occhi di tutte le intelligence internazionali.
Il presidente ha prima smentito e poi confermato (il 16 maggio) quanto scritto dal Washington Post a proposito delle sue rivelazioni a Lavrov. Si è giustificato motivando questo scambio di informazioni top secret come una misura necessaria per combattere meglio il terrorismo. Di fatto, tuttavia, questa leggerezza è l'ennesima prova della sua inadeguatezza come commander in chief, cioè come comandante in capo. Non solo. L'immaturità e l'ingenuità politica che da più parti gli vengono attribuite diventano un peso per la stessa sicurezza dell'America.
Russiagate, le conseguenze dell'incontro con Lavrov
Tra tutti i presidenti americani, il quarantacinquesimo è il più difficile da capire. Come emerge da un articolo di David Brooks su Repubblica di oggi, la necessità di prevedere i comportamenti di un presidente USA è legata alle misure da prendere per contrastare/facilitare le sue decisioni.
Ma con Trump ogni previsione si è finora rivelata impossibile. La sua leadership non segue infatti una linea precisa, ma indica piuttosto immaturità e mancanza di idee e sembra contraddistinta dal cosiddetto "effetto Dunning-Kruger", vale a dire una distorsione della mente per cui si è portati a sopravvalutare le proprie capacità e a farlo al di là di fatti concreti.
Rimane il fatto che quelli che seguono sono gli effetti internazionali dell'ultimo Russiagate:
- Bruxelles e Berlino si dicono più caute nel confidare agli alleati americani informazioni top secret
- le intelligence anglofone (Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda) prendono atto del comportamento scorretto di Trump;
- Giordania, Arabia Saudita ed Egitto, vale a dire i servizi segreti più importanti del mondo arabo, seguono le orme dei partner in merito alla vicenda
Con Michael Flynn il primo atto del Russiagate
Il secondo atto del caso Russiagate, innescato dalle recenti e inopportune rivelazioni del presidente americano a Lavrov, diventa ancora più grave se rapportato al primo atto, quello cioè legato al presunto coinvolgimento russo nella vittoria elettorale di Trump.
Secondo un rapporto dell'intelligence USA del gennaio scorso, infatti, sarebbe stato Putin a manovrare l'attacco hacker ai danni della candidata democratica Hillary Clinton. Attacco che avrebbe condizionato pesantemente in favore di Trump il risultato delle elezioni. Il rapporto, poi pubblicato, è stato presentato al presidente, che ha riconosciuto l'attacco hacker e la fonte di provenienza, negando però qualsiasi influenza russa nelle elezioni. Di fatto però le recenti dimissioni di Michael Flynn hanno fatto aprire due inchieste da parte sia del Congresso sia dell'Fbi. Si vuole fare luce sui pagamenti di 35 mila dollari che l'ex consigliere per la Sicurezza nazionale avrebbe ricevuto dall'emittente russa RT nel 2015. Invitato a un evento, Flynn avrebbe parlato con l'ambasciatore russo, dicendo che "in caso di elezioni, Trump avrebbe potuto far togliere le sanzioni alla Russia".