Anche se siamo in piena estate, proseguono i movimenti dentro alle varie formazioni di sinistra, alle prese con varie questioni organizzative e con già il pensiero alle elezioni europee del maggio 2019. In quest'ottica Blasting News ha intervistato in esclusiva David Tozzo, leader della minoranza di "Possibile", il quale a differenza del gruppo dirigente del suo partito, intende aderire al nuovo soggetto di "Liberi e Uguali".

Tozzo: 'In Possibile fino all'ultimo, ma in prima fila nella costruzione di Liberi e Uguali'

Apprendiamo che diversi esponenti della sua area interna a Possibile, stanno uscendo dal partito. Può spiegarci cosa sta succedendo?

"Possibile è stata una bellissima, ancorché brancaleonesca, intuizione che ha vissuto di due “fiammate”: dapprima gli inizi, quando fondammo il partito nel giugno del 2015, ritrovandoci tuttavia da subito a navigare non in mare aperto, quanto direttamente nel deserto: da 400.000 voti che avevamo raccolto con Pippo Civati alle primarie del PD del dicembre 2013, ci ritrovammo in 4.000 iscritti, ovverosia un centesimo di quella massa che, in qualche modo, s’era appassionata alla nostra idea di Politica.

La seconda fiammata è stata con il secondo Congresso, nel maggio scorso, dove candidandomi come Segretario nazionale assieme a una squadra straordinaria e di rottura, abbiamo regalato al partito un congresso vero. Facendo registrare anche un’impennata dei tesseramenti pur di poter partecipar e votare la nostra proposta di alternativa a una guida – e questo è stato il limite più grande di Possibile – in continuità con quella costituita dalla cerchia amicale di Pippo Civati, un personaggio con grande visione politica ma con scarsa attitudine alla leadership, all’organizzazione, alla comunità che non sia quella ristretta, fino all’auto soffocamento, di fedelissimi. Una piccola corte dei miracoli che è riuscita a passare da quei 400.000 ai 1000-2000 iscritti attivi di oggi.

Uno scenario alla Mad Max più che alla Berlinguer. Con la mozione Reinventare la Sinistra abbiamo comunque dato nuova vita al partito, salvo poi, un minuto dopo il voto (nel quale su base nazionale ho preso il 26%), vedere sconfessate tutte le promesse di unità anche della vecchia dirigenza risultata prevalente che ha cominciato a estrometterci scientificamente da ogni posizione e possibilità. Autosoffocandosi, appunto".

Ma quindi quale sarà l'approdo finale di questa situazione? E lei personalmente cosa farà?

"Nel nostro ancora crescente e animato gruppo che ha animato Reinventare la Sinistra c’è lo stesso orizzonte ed obiettivo: l’unità a sinistra, in Liberi e Uguali. Tra noi vi sono persone che sono già ufficialmente uscite da Possibile, altre che ne sono state espulse in modi e sui basi discutibili ma coerentemente-con-conventio, altre ancora che intendono insistere a lottare nel partito per quello che era il suo originario spirito unitario sulle cui basi è nato, ma che da qui a quando Liberi e Uguali sarà, a tutti gli effetti, un soggetto partitico, opereranno naturalmente e indifferibilmente la scelta di esserne parte viva, attiva.

Personalmente, anche solo (ma non soltanto) per rispetto verso chi mi ha appoggiato votandomi come leader nazionale di Possibile, fino all’ultimo momento utile e fintanto che non si porrà l’aut aut ad esempio per la non possibile compresenza di doppia tessera Possibile/Liberi e Uguali, e in ultima istanza finché non espelleranno persino me, resterò nel partito, anche perché me lo chiedono in molti iscritti di esso: finché si sentiranno tutelati con la mia presenza, mi presterò a questo, a loro".

'Alle Europee non possiamo presentarci in tre liste divise: serve una sinistra unita e neo-populista'

Peraltro mancano pochi mesi alle elezioni Europee e a sinistra la situazione pare molto confusa. Dove andrete a parare?

"Nella recente conferenza di MDP ho sentito una cosa dal solitamente ottimo Roberto Speranza che non m’è piaciuta: “Liberi e Uguali non è il fine, è solo un mezzo”.

Ecco, io davvero non vorrei che LeU fosse utilizzato come un autobus per andare in gita in Europa e, ove i risultati elettorali del prossimo 26 maggio non si rivelassero premianti, scendere dando la colpa all’autista di turno e tornare a casa in autostop,. Soprattutto se la casa è il Partito Democratico dove Matteo Renzi esercita tutt’ora una golden share. Addossando a LeU l’eventuale insuccesso elettorale, lavamani che non sarebbe possibile ove ci si presentasse come singolo soggetto, ad esempio per l’appunto MDP, il cui insuccesso condannerebbe all’oblio. Politicamente, francamente, la mossa mi pare fin troppo scaltra. Allora, meglio il tanto criticato Pietro Grasso, non politico di formazione ma che a maggio scorso ha deciso di metterci la faccia e portare in porto l’approdo da lista elettorale ad un partito, mantenendo quella che è stata una promessa elettorale precisa fatta al nostro elettorato e sulla cui base abbiamo preso oltre 1 milione di voti il 4 marzo.

Ebbene, la sinistra non deve ripartire tanto dalle periferie, come in qualche meme di Osho, e neppure dalle parole, bensì dal mantenerle, in quanto parole, in quanto promesse fatte a persone. A proposito d’Europa, propongo una proposta nuova a sinistra: una prospettiva neo-populista, dove il termine populista sia strappato via dalla disponibilità esclusiva dei populisti più beceri e spesso più neri, ma che bensì recuperi un’accezione positiva che più che eccezioni, da Syriza con il Governo, a Podemos con il contributo determinante alla sfiducia dei popolari spagnoli, all’exploit di Mélenchon con una piattaforma forse meno innovativa di Hamon ma senza, di quest’ultimo, la zavorra di un partito istituzionale (au contraire di populista) fino al parimenti svincolato trionfo di Obrador alle presidenziali in Messico".

Ma concretamente come pensa di poter realizzare questi intenti?

"Presentarci alle elezioni, dove la soglia è il 4% e non “solo” il 3% come per le politiche, in almeno 3 liste tra Liberi e Uguali, Potere al Popolo e Diem25/DeMagistris sarebbe una reboante dichiarazione di intenti e di guerra: intento di restare fuori dalle istituzioni e guerra a sé stessi, tutti contro tutti. Sarebbe bene sedersi a un tavolo, anzi, ritrovarsi in una piazza per provare a ragionare assieme su un eventuale stare, assieme. In un tessuto sociale ormai completamente desertificato, brutalizzato, e con le piazze vuote, le nuove lotte sono giocoforza talmente antiche, talmente basiche e basilari, che dal movimentista più barricadero del centro sociale in Potere al Popolo al rappresentante più istituzionale di Liberi e Uguali, ci vorrebbe un sussulto di anti-orgoglio per confrontarsi, e co-elaborare un colpo di reni che ci catapulti fino a Bruxelles per cambiare l’Europa in meglio umilmente assieme, in luogo del non accedervi e non cambiare niente fieramente disgiunti.

Non mi sfuggono le profonde differenze di piattaforma politico-programmatica, ma nella convinzione che un minimo comun denominatore, in questo deserto, si possa e debba provare a trovare, lavorerò anche in questo senso fino al giorno in cui si chiuderanno le liste. Parlando del mio campo, Liberi e Uguali sconta una postura percepita come eccessivamente, istituzionale, il che spesso è in rima con “distante dal popolo”. Io sono per l’avvicinarsi, non per il restare distanti, dunque dico: incontriamoci. Sarebbe desiderabile, oltre che assolutamente assennato, presentarsi alle europee in una lista unica che abbia candidate al suo interno persone come Elly Schlein, Viola Carofalo, Lorenzo Marsili, Sergio Cofferati, Domenico Lucano (Sindaco di Riace), il sindacalista Aboubakar Soumahoro, magari pure Pippo Civati, se se la sente"

'Quando Lega e M5S inizieranno ad avere problemi, la sinistra dovrà farsi trovare pronta con proposte nuove'

Secondo recenti sondaggi però almeno il 58% degli italiani voterebbe Lega o M5S: come pensa sia possibile per la sinistra riprendere consenso tra i ceti popolari?

"L’opportunità data dall’abbraccio gialloverde è grande.

Se alle elezioni avesse prevalso, con maggioranza assoluta, il centro-destra, la loro storica capacità di ingenerare governi stabili li avrebbe fatti imperversare nella povera Italia per una confortevole completa legislatura, ed è proiezione non certo impensabile immaginare che a quel punto, e dunque nel 2023, a conquistare la maggioranza assoluta sarebbero stati i pentastellati. Dieci anni, insomma, tra un colore e un altro per il nostro Paese molto peggio del niente. Allora molto meno peggio che si “brucino” assieme, ad un tempo, gialli con verdi e che, auspicabilmente, non durino oltre la prossima Legge di Stabilità. A quel punto, con il peso del fallimento sulle spalle di entrambi, un Berlusconi ai minimi termini e un PD in pieno Congresso, la sinistra potrebbe dire la propria eccome.

Notoriamente, l’elettorato di pancia appoggia la protesta fintanto che questa non è al Governo e, in seconda istanza, fintanto che le tasche, quantomeno, non si svuotano. Con il Decreto Dignità e con il grande costo di introduzione flat tax parziale, non sono affatto certo che l’economia non ne soffrirà. Il populismo di Trump funziona per qualche misura azzeccata che in economia la sua amministrazione ha perpetrato oltreché, in massima parte, per un miracolo economico troppo passato sotto silenzio nel complesso del ricordo che Obama è riuscito a costruire in otto anni di Governo, proprio come la Merkel ha goduto di quanto seminato dalla SPD di Schroeder. In Italia è diverso: nessuno statista nelle scorse legislature, bensì dapprima lo spread a oltre 500 e Monti, poi 1000 giorni di Renzi con bonus come gli 80 euro che ora è bene si avviino verso il tramonto.

Nessuna base solida, insomma, oggi in Italia. Potrà accadere, presto o tardi, che nell’anticamera di uno scioglimento delle Camere e nuovo ciclo elettorale nazionale Lega e 5 Stelle comincino ad accusarsi vicendevolmente di non “poter lavorare”, chiedendo un nuovo pieno mandato, ma gli elettori non son scemi e a quel punto è ragionevole pensare che difficilmente lo accorderebbero alla Lega, la cui base elettorale è comunque in buona parte base produttiva del settentrione, ma nemmeno ai pentastellati. Il cui elettorato ha appena dimostrato, per fare un esempio del territorio da cui provengo, di non aver firmato alcun assegno in bianco: alle elezioni del III Municipio di Roma (oltre 200.000 abitanti) del giugno scorso la candidata e Presidente uscente del MoVimento 5 Stelle non è arrivata neppure al ballottaggio, sprofondando sotto quota 20%.

A proposito: lì ha vinto la sinistra, unita. Uniti, da Roma a Bruxelles, possiamo vincere ovunque. Per far questo ci vuole da parte nostra, e per nostra mi riferisco alla sinistra tutta, una nuova sorta di neo-populismo di sinistra, che vada da Syriza a Podemos, da Sanders a Corbyn, dove la chiave politica è in quel “neo”: non possiamo limitarci a rimanere ingessati e istituzionali. Ma non si può neppure indulgere a ideologie oggettivamente lise, trite, non più aderenti all’attuale e dunque agli attuali bisogni delle persone, pur di continuare, sempre in meno, a sventolare sempre più stancamente bandiere rosse sempre più sbiadite. Potere al Popolo sconta un po’ questo, mi sembra: un linguaggio e un entusiasmo nuovi per predicare litanie stravecchie.

Liberi e Uguali invece sconta l’ingessatura, l’istituzionalizzazione, il non rischiare niente. Bisogna reinventare tutto. Rimetterci in discussione, tutti. E invece di farlo autoescludendoci tra noi o autoesiliandoci dal mondo, va fatta piazza pulita dei propri ombelichi e tabula rasa dei propri fortini, uscendo, e presentandoci lì fuori, in Europa, con l’umiltà di ascoltare ed abbracciare lo zeitgeist del nuovo populismo di sinistra che non solo è il futuro, ma è già presente, e tranne che tra noi è già ovunque".