The never ending story. Così potremmo definire la Brexit, citando il famosissimo film del 1984. Una storia infinita, fatta di tira e molla, accordi non raggiunti e tanta, tanta confusione. Precedentemente fissata al 29 marzo prossimo, l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea è stata invece prorogata su richiesta della premier inglese, Theresa May, a causa dell'impossibilità di trovare un accordo valido.
Donald Tusk e i ventisette paesi dell'UE hanno dato quindi l'ok per una breve proroga, ma che non superi il 22 maggio in caso di un accordo completo entro la prossima settimana. Se l'accordo saltasse, l'uscita sarebbe prorogata solo fino al 12 aprile.
Le premesse alla proroga
Solo qualche giorno fa, la premier britannica aveva chiesto il rinvio della data d'uscita al 30 giugno, a causa del Parlamento che non era stato in grado di trovare un accordo. "I parlamentari stanno facendo di tutto per non decidere", aveva sentenziato la May, dichiarando il proprio dispiacere di fronte al dover rimandare la data dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea.
Nel discorso tenuto alla Camera dei Comuni, la premier britannica aveva poi definito un possibile annullamento della Brexit "un danno irreparabile", poiché tradirebbe in toto la volontà sacrosanta dei cittadini che tre anni fa votarono a favore dell'uscita.
Contrariamente a quanto sperato dalla prima ministra, però, la conferma del presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, non è arrivata. Al Regno Unito sono state infatti presentate alcune soluzioni: il rinvio al 22 maggio, ma solo nel caso in cui il Parlamento inglese raggiunga un accordo entro la prossima settimana, l'attesa fino ad almeno la fine del 2019 per realizzare l'uscita, o l'annullamento dell'articolo 50 che, appunto, regola la Brexit.
La reazione della May non si è fatta però attendere: "costringere gli inglesi a votare per le elezioni europee sarebbe ingiusto [...] no ad annullamento della Brexit".
Elemento non meno importante è la posizione di John Bercow, presidente del Parlamento britannico, che non accetterà un testo già bocciato con 149 voti che non avrà subito rigorose modifiche. Non è chiaro come la May riuscirà ad aggirare questo ostacolo.
Il rinvio ed i timori di Theresa May sul voto alle europee
Uno dei punti su quali ha versato la riunione di ieri, a Bruxelles, è stato quello delle elezioni europee. La May, infatti, vorrebbe raggiungere l'agognato traguardo prima che gli inglesi siano costretti a votare all'interno di un sistema che non hanno più intenzione di supportare.
A questo punto la direzione sembra obbligata.
Londra ha meno di una settimana per raggiungere un accordo, in caso contrario dovrà negoziare un nuovo rinvio, ma in quel caso si protenderebbe automaticamente verso un'estensione lunga che, di conseguenza, prevederebbe il voto degli inglesi alle elezioni europee previste per maggio.
Pare dunque essere davvero l'ultima chance della premier britannica, che potrebbe rassegnare le dimissioni in caso di sconfitta. A meno di tre settimane dall'effettivo termine della proroga, non appare certamente sicura una rapida risoluzione della questione.
Il Parlamento inglese dovrebbe firmare il documento stilato dalla May con l'UE, che contiene il cosiddetto "backstop", un piano atto a prevenire crisi di mercato europeo successive alla Brexit, lasciando legata l'Irlanda settentrionale all'Unione Europea in attesa di un accordo definitivo.
Le complicazioni
Al di là del fatto che la Brexit sia osteggiata da conservatori interni al partito della stessa May, dagli unionisti nordirlandesi e da altre fazioni, il problema risiede anche (e in misura consistente n.d.r.) nel carattere della premier stessa che spesso crea disunione, come dimostrato nel discorso al Parlamento di mercoledì sera, pieno di accuse nei confronti dei parlamentari.
Si rende quindi necessario un ammorbidimento della May al fine di ottenere voti e appoggio se lei, e con lei tutti i Brexiters, vogliono evitare le elezioni di maggio.
Si attendono ulteriori sviluppi per la prossima settimana.