Mark Esper, ministro della difesa degli Stati Uniti ha confermato che l'attacco alle raffinerie saudite dello scorso 14 settembre è stato sferrato da droni iraniani. I danni subiti hanno avuto come conseguenza l'improvvisa riduzione delle esportazioni giornaliere di petrolio saudita con un rialzo drastico del prezzo al barile. Secondo Esper, i droni sarebbero stati lanciati direttamente dall'Iran e non dal suo alleato Yemen.
A futura difesa dei pozzi, il capo del Pentagono ha poi annunciato l'invio di nuove forze militari Usa in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi, per una missione aerea e missilistica approvata dal presidente Donald Trump. Tale contingente militare, tuttora non specificamente individuato, non raggiungerà il migliaio di unità, secondo il capo di Stato maggiore della difesa Usa Joseph Dunford.
Va detto che l'Arabia, già principale importatore mondiale, dall'avvento di Trump ha firmato con gli Usa 15 miliardi di dollari di contratti di armi. Inoltre, in una nota che ha preceduto di 24 ore l'annuncio di Esper, Riyad ha annunciato di essersi unita all'alleanza marittima in funzione anti iraniana già comprendente Usa, Regno Unito, Australia e Bahrein.
Dietro all'Arabia Saudita ci sono Usa e Israele, dietro l'Iran la Russia
I resti dei 18 droni e almeno sette missili da crociera iraniani, responsabili dell'attacco, sono stati mostrati nei giorni scorsi dal ministero della difesa saudita. Anche se Riyadh non è riuscita ancora ad individuare con certezza il punto di lancio, il suo portavoce esclude che gli oggetti siano provenuti dallo Yemen. Mike Pompeo, segretario di Stato degli Stati Uniti, si è subito recato in visita a Riyadh.
In base a tali notizie, ha potuto affermare che Teheran avrebbe appena effettuato un vero e proprio “atto di guerra”. Tutto ciò rende assolutamente concreta l'eventualità che, nei prossimi mesi, se non nelle prossime settimane, possa verificarsi una guerra diretta tra Arabia Saudita e Iran.
Tale possibile conflitto non avrebbe soltanto conseguenze economiche per l'occidente e gli altri paesi importatori di petrolio (Cina, India e Giappone). Comporterebbe anche un ulteriore motivo di tensione nello scacchiere mondiale. Dietro ai sauditi, infatti sono schierati gli Usa e dietro l'Iran, la Russia. L'Arabia, inoltre ha già stretto accordi con Israele, in funzione anti-iraniana, perfettamente in linea con Washington.
Motivi religiosi alle origini della tensione tra Arabia Saudita e Iran
Il conflitto tra l'Arabia Saudita e l'Iran ha origini religiose e si perde nella notte dei tempi. Entrambi osservanti dell'islam, la prima è di confessione sunnita e custode dei luoghi sacri (La Mecca e Medina).
Il secondo è la guida della minoritaria confessione sciita. Negli ultimi decenni, una guerra vera tra le due parti è stata combattuta solo per interposta persona, in Siria, in Iraq e nello Yemen.
In particolare nello Yemen, piccolo regno della penisola arabica, vicino ai sauditi. L'Iran appoggia i ribelli sciiti yemeniti Houthi. Costoro, in passato avevano avuto come obiettivo strutture militari, l’aeroporto e il palazzo reale di Riyad. Stavolta, sin dalle ore successive alle esplosioni del 14 settembre, i ribelli hanno rivendicato l’attentato. L'Iran, al contrario, a fronte delle accuse di sauditi e americani, ha sempre smentito di essere implicato negli attacchi.
In Siria, gli iraniani sono sempre stati lo sponsor principale del dittatore Bashar al-Assad.
Le loro milizie sciite, grazie all’aiuto russo (e dei curdi) si sono sbarazzati dello Stato islamico, guarda caso di confessione sunnita. Era il solo ostacolo che gli impediva di collegarsi al Libano e al Mar Mediterraneo. Nel paese dei cedri, possono fruire dei miliziani Hezbollah, nemici di sempre di Israele. Per questo si è formata l'alleanza naturale tra Usa, Israele ed Arabia. Saudita.
In Iraq, Stato formalmente alleato con gli statunitensi, le milizie sciite hanno combattuto con l’esercito di Baghdad contro lo Stato islamico. Essendo la maggioranza della popolazione di confessione sciita, di fatto controllano il paese. Per questo gli Usa, nonostante che il conflitto con l’Isis sia finito, mantengono le loro truppe sul posto, in funzione anti-iraniana.
La situazione, tuttavia, è un ulteriore motivo di preoccupazione per l'Arabia Saudita, che condivide con l'Iraq la maggior parte del suo confine settentrionale.
La soluzione bellica tra le due potenze regionali non è però l'unica opzione che Mosca e Washington ritengono fattibile. Lo stesso presidente Usa Donald Trump ha affermato che sarebbe molto facile scegliere quella militare in risposta all'attacco missilistico. In realtà tra le “molte opzioni” l’arma della guerra - sostiene Trump - in Medio Oriente non si è sempre rivelata efficace.
Per quanto riguarda, invece, l'opzione negoziale, se Stati Uniti e Russia riuscissero a trovare una soluzione di pace in Siria, l'effetto-domino si propagherebbe a tutta l'area riconducendo all'ovile i suoi “venti di guerra”. Questa è anche l'opinione di Emmanuel Macron, il quale ha già incontrato e tentato di far incontrare tutti gli attori principali del teatro medio orientale.