Un dato genetico non si può cambiare, uno stile di vita sì. Entrambi però possono influire sull’incidenza del cancro alla mammella. Ma passando ad uno stile di vita virtuoso, anche coloro che per fattori genetici sono ad elevato rischio, possono veder ridurre il rischio a livello paragonabile a chi è “geneticamente” più fortunato. Queste sono le conclusioni di uno studio condotto da ricercatori americani, dopo aver analizzato i dati di decine di migliaia di donne. Lo studio è stato pubblicato il 26 maggio, sulla rivista scientifica JAMA Oncology.

Dal profilo genetico e dallo stile di vita, una previsione sul rischio

Le donne che, per storia familiare e predisposizione genetica, sono ad elevato rischio di cancro alla mammella, possono ridurre le probabilità di avere questa diagnosi solo se adeguano il loro stile di vita a comportamenti più virtuosi. E’ quanto hanno stabilito i ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health.

I ricercatori hanno osservato che donne bianche, classificate ad elevato rischio, se mantenevano un basso indice di massa corporea – un marker dell’obesità, non bevevano alcolici, non fumavano e non usavano terapie ormonali sostitutive, avevano la stessa probabilità delle donne classificate non ad alto rischio.

Che, per una donna di 30 anni, corrisponde ad una probabilità dell’11% di avere un cancro alla mammella fino all’età di 80 anni.

In pratica, un stile di vita virtuoso può ridurre l’incidenza di questo tumore del 30%. In misura ancora maggiore se c’è una predisposizione genetica o altri fattori che non possono essere modificati.

Nei Paesi occidentali, il cancro alla mammella rimane la forma più comune dei tumori femminili. Solo nel 2014, negli Stati Uniti ci sono state 232 mila nuove diagnosi con circa 40 mila decessi.

Nilanjan Chatterjee, uno degli autori dello studio, dice che la gente immagina che una predisposizione genetica sia una condanna scolpita nella pietra.

Questa ricerca dimostra il contrario. E’ vero che non è possibile cambiare le informazioni presenti nei nostri geni ma, a fronte di una elevata predisposizione verso una malattia, come può essere un elevato rischioad avere un tumore, bastaseguire uno stile di vita virtuoso, e il rischio diventa paragonabile a chi è a “basso rischio genetico”.

In attesa di nuovi criteri personalizzati per gli screening

Il team di Chatterjee, insieme ad altri colleghi che operano in una dozzina di istituzioni sparsi in tutto il mondo, analizzando le informazioni genetiche di 17mila donne con cancro e 20mila donne sane, hanno sviluppato un modello di predizione di rischio cancro alla mammella. Combinando le informazioni tratte da questi due gruppi di donne, valutando età, fattori di rischio e circa 100 mutazioni genetiche, hanno elaborato un programma di previsione rischio, abbastanza accurato.

Per ora limitato a donne bianche. Ulteriori studi e ricerche saranno necessari per estendere il programma ad altre etnie.

Lemutazioni prese in esame dai ricercatori non sono limitate a quelle più note (e rare) come quelle dei geni BRCA1 e BRCA2. Lo scopo dello studio era appunto l’individuazione di sottogruppi che possono essere a maggior rischio ma che sfuggono alla sorveglianza, in base ai parametri adottati adesso. Ad es. le autorità raccomandano di fare la mammografia di routine dopo i 50 anni (prima era dopo i 40 anni). Ma l’età è solo uno dei fattori di rischio. La storia familiare può essere altrettanto importante. Il 16% delle 40enni infatti ha un rischio paragonabile alle 50enni così come il 32% delle 50enni ha un rischio paragonabile alle 40enni.

Il messaggio che scaturisce da questo studio è che non serve eseguire un numero maggiore o minore di mammografie, quanto farle in modo più appropriate. Questo è solo l’inizio: in futuro c’è da immaginare che test e modelli come questi serviranno a classificare la popolazione che, in virtù del risultato ottenuto, avranno o meno diritto all’esenzione per una serie di screening.