A gennaio alcuni ricercatori di Boston, Chicago e Minneapolis, su J. Med. Chem. primo autore K. M. Nelson, avevano pubblicato una recensione sulla curcuma, smontando tutto quello che finora è stato pubblicato nella letteratura scientifica e nei report di oltre 120 studi clinici. Le loro conclusioni si basavano su una lettura critica di quanto finora pubblicato, in quanto raramente questi lavori avevano seguito un rigoroso approccio scientifico. A stretto giro, sul numero di febbraio su Med. Chem. Lett., arriva la replica di due ricercatori indiani che, pur riconoscendo che ci possono essere lavori criticabili, questo non cancella i benefici della curcuma, spezia usata da millenni e valutata in numerosi studi clinici.

La curcuma sfida i principi della chimica farmaceutica

La radice di Curcuma Longa è uno dei costituenti principali della medicina tradizionale. Ormai nessuno mette in dubbio le proprietà salutistiche di questa spezie, coltivata principalmente nel sud dell’India e impiegata da oltre 5000 anni nella medicina Ayurvedica come depurativo, digestivo e antinfiammatorio, oltre che per molteplici altre indicazioni come dissenteria, artrite disturbi epatici, fino ai tumori. Dotato di proprietà antinfiammatorie e antiossidanti, nella curcuma ci sono numerose sostanze tra queste curcumina (il pigmento giallo che conferisce il colore all’intera radice), vitamina C, proteine, zuccheri.

I ricercatori americani hanno isolato e studiato i singoli componenti della curcuma giungendo alla conclusione che queste sostanze rientrano tra quelle definite PAINS (pan-assay interference compounds) e IMPS (invalid metabolic panaceas), ovvero sostanze in grado di interferire con i test in vitro ed in vivo.

Su questa base, andando a rivedere tutta la letteratura scientifica compreso gli oltre 120 studi clinici dove curcuma e sui componenti (curcuminoidi) erano stati studiati nella trattamento di varie patologie, questi autori, prima firma Kathryn M. Nelson, sono giunti alla conclusione che tutto quanto era stato detto finora su questa spezie non era suffragato da dati sperimentali oggettivi.

La reazione dei ricercatori indiani

Non si è fatta attendere la replica dei ricercatori indiani, Paese dove la curcuma viene usata da millenni. Con una nota dal titolo “Curcumin May Defy Medicinal Chemists”, pubblicata sul numero di febbraio di Med. Chem. Lett., G. Padmanabane e V. A. Nagaraj replicano ai colleghi americani.

Trattandosi di un prodotto naturale, e come tale presente come miscuglio di molti ingredienti, non può essere valutato isolando e analizzando il profilo di ogni singolo componente perché i risultati che si ottengono non possono rappresentare le proprietà della miscela naturale.

Tra questi ingredienti ci sono sostanze come quercitina, resveratrolo, ginsenoidi, ecc. riconosciute dalla medicina ufficiale per le loro proprietà terapeutiche. E, continuano i ricercatori indiani, ammettendo che degli oltre 10.000 lavori pubblicati e i 120 studi clinici effettuati, solo l’1% fosse credibile, sarebbe sufficiente per avere una robusta evidenza scientifica.

Gli indiani riportano i risultati di alcuni studi, come quello che ha coinvolto 45 pazienti affetti da artrite reumatoide, dove la spezie - valutata secondo criteri internazionali - è risultata più efficace del diclofenac e altre combinazioni di farmaci.

In un altro studio, effettuato su 39 pazienti con malattia polmonare ostruttiva cronica, dopo sei mesi di terapia gli eventi cardiovascolari erano significativamente ridotti rispetto al gruppo di controllo.

E, per finire, uno studio effettuato nei loro laboratori su un modello di malaria sperimentale (Plasmodium berghei): gli animali non trattati dopo una settimana erano tutti morti mentre quelli a cui era stato somministrato per bocca (5 mg per topo/giorno) la curcuma commerciale, nessun animale era morto ma tutti avevano risposto positivamente al parassita.