Si conclude domani 12 settembre il Congresso annuale degli Oncologi medici europei in corso a Madrid. Un Congresso durante il quale sono state presentate moltissime nuove sperimentazioni per la diagnosi e la cura di altrettante forme tumorali. Con la sensazione che, d'ora in poi, anche nella loro battaglia contro i tumori gli Oncologi dovranno, sempre più, adottare un' approccio multidisciplinare, fatto non solo di oncologia medica, ma anche di biologia molecolare. Lo scopo è di ampliare il più possibile il numero dei pazienti che beneficiano delle nuove cure antitumorali, per ora alquanto limitato.
Lo studio sul tumore al colon
Durante questa penultima giornata sono stati presentati i risultati di uno studio indipendente finanziato anche dall' Aifa, su un campione di circa 12 mila pazienti operati di tumore al colon. Lo scopo dello studio era verificare la possibilità e l'efficacia di un mutamento nello standard terapeutico corrente per affrontare questa particolare neoplasia. Infatti, attualmente, i malati di tumore al colon vengono sottoposti a cicli semestrali di chemioterapia. Lo studio ha indagato la possibilità di passare a cicli di chemioterapia di soli tre mesi. Risulta subito evidente quale vantaggio sarebbe, per migliaia di pazienti, un dimezzamento del genere su una terapia che, benché salvi indubbiamente la vita, presenta degli effetti collaterali per nulla trascurabili.
I risultati imprevisti dello studio
I risultati statistici dello studio hanno sorpreso e, in un primo momento, irritato i clinici, in quanto largamente imprevisti. Infatti, le risultanze statistiche erano a favore di una totale indifferenza tra i due approcci terapeutici. Almeno, ad una prima, superficiale, analisi.
Ad un'analisi più attenta, però, i clinici hanno riscontrato un fatto strano.
Suddividendo, infatti, il campione di pazienti in base alla possibilità di andare incontro a recidive, si è riscontrato che chi aveva una probabilità più bassa di contrarre nuovamente il tumore al colon aveva gli stessi benefici sia che si sottoponesse alla chemioterapia per tre o sei mesi.
Questo vuol dire, in termini pratici, che in base al profilo di rischio del paziente è possibile calibrare il ciclo chemioterapico.
Di conseguenza, se il profilo di rischio è basso, possono bastare tre mesi. Se, invece, il profilo di rischio è elevato si mantiene lo standard dei 6 mesi. È di tutta evidenza che un risultato del genere impatta sulla qualità della vita di, letteralmente, centinaia di migliaia di pazienti, migliorandola nettamente.
La scoperta e' stata possibile, spiega Robert Lablanca del Cancer Center dell'ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo, solo andando ad analizzare più a fondo la realtà medica dei pazienti. Quello che ora resta da fare è analizzare il profilo di rischio di ogni singolo paziente e, dopo una discussione franca con lo stesso, decidere quale terapia attuare. Ma sicuramente più personalizzata e con minori effetti collaterali indesiderati in molti casi.