Spesso, molti di noi sentono nominare il termine "ipocondria" senza sapere bene che cosa sia e come si dovrebbe affrontare un problema del genere.

L'ipocondria, come spiega il DSM-5 (2013), ovvero il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, è una malattia che si basa sulle sensazioni che una persona percepisce sulla paure di contrarre o avere una malattia. Un fattore importante è che questa patologia venga esclusa da condizioni mediche e che rechi difficoltà a livello familiare, interpersonale e/o lavorativo.

A livello familiare e interpersonale può causare disagio, poiché i soggetti tendono a pensare che l'attenzione degli altri debba focalizzarsi su di loro, in particolare sulla malattia che pensano di avere.

A livello lavorativo possono avere problemi a causa dei molti giorni di festa chiesti per recarsi settimanalmente dal dottore.

Una caratteristica che spesso accomuna questi soggetti è il fatto di cambiare molti dottori poiché non si fidano della diagnosi data, pensando che la malattia sia reale e che esista, e che sia "colpa" del medico che non ha saputo identificare una patologia accurata. Tendono, quindi, a non mettere in dubbio che abbiano o meno una malattia, ma la convinzione del medico a riguardo.

Nel manuale di Leveni, Lussetti e Piacentini del febbraio 2017, gli autori identificano queste persone come fragili e vulnerabili.

I sintomi

La causa di questi sintomi è spesso associata al fatto che una persona molto vicina all'individuo, fin da quando questi era piccolo, abbia sofferto di ipocondria e l'abbia trasmessa a quest'ultimo.

Le sensazioni possono assumere moderata, grave o lieve gravità, e possono interessare uno o più organi. Sono sensazioni reali a cui il paziente dà un'importanza, abbassando così le soglie ricettive in quel determinato punto. Ad esempio, potrebbe iniziare a sentire i battiti cardiaci, ignorati normalmente da qualsiasi persona.

Secondo gli ultimi studi del 2016, si sviluppa generalmente nella prima età adulta e non sono state rilevate differenze di genere per quanto riguarda la percentuale di sviluppo o meno della malattia. Nella maggior parte dei casi, vi è una remissione completa.

La cura

Secondo gli ultimi studi di Hobbs e collaboratori, la soluzione migliore (approvata dalla maggior parte degli psicoterapeuti) è la terapia cognitivo-comportamentale che si impegna a seguire due vie: la prima riguarda l'aspetto cognitivo dell'individuo, e cerca di cambiare il modo di pensare, le sensazioni distorte che percepisce, oppure di diminuire l'ansia che associa ad un sintomo o al pensare alla malattia; la seconda mira a cambiare gli atteggiamenti che l'individuo assume rispetto alla patologia e alla paura di provarla. Delle volte, nei casi più gravi, si associano anche dei farmaci.