L'incidenza della malattia di alzheimer è in continuo aumento: a causa dell'invecchiamento della popolazione, si stima ormai che 9 anziani su 100 ne siano affetti, e che ben 6 demenze su 10 siano dovute a questo morbo. Di fatto, questa patologia è una delle maggiori emergenze socio-sanitarie dei nostri tempi; i costi globali per la cura erano stimati nel 2015 a 818 miliardi di dollari, dato giustificabile soprattutto considerando che solo il 18% vive da solo, mentre tutti i restanti sono collocati in case di cura o strutture apposite.

Diventa, quindi, sempre più necessario trovare nuove e più efficaci cure.

Una ricerca insolita

Quando i segni clinici della demenza presenile sono abbastanza chiari per una diagnosi, il processo neurodegenerativo è ormai iniziato da 10 o 20 anni: è questo uno dei principali problemi che rendono estremamente complesso il trattamento di questa malattia. Una svolta importante sarebbe riuscire ad identificare dei "segnali" che permettano di identificare l'inizio del decorso della patologia, ed è proprio questo l'obiettivo che si è prefissato un team di esperti del Brigham and Women's Hospital. Il sintomo riscontrato? L'ansia.

La ricerca, condotta da Nancy Donovan, ha coinvolto 270 soggetti cognitivamente sani fra i 62 e i 90 anni, misurando tramite PET la quantità di beta-amiloide, la principale componente delle "placche senili", ovvero ammassi che ostacolano la normale comunicazione fra sinapsi, causando la destrutturazione delle capacità cognitive.

I ricercatori hanno indagato su un'eventuale correlazione fra la quantità di beta-amiloide e altri fattori; in particolare, poiché spesso i malati di Alzheimer soffrono di depressione, hanno cercato un collegamento con vari sintomi specifici della depressione come l'apatia, la disforia, il disorientamento, le alterazioni del comportamento e la stessa ansia.

Risultati inattesi

Ed effettivamente una correlazione è stata trovata: i pazienti con un livello di beta-amiloide maggiore erano anche quelli con un livello di ansia più alto. Il risultato, pubblicato su "The American Journal of Psychiatry", potrebbe essere particolarmente importante: se ulteriori ricerche confermeranno e approfondiranno queste conclusioni, livelli di ansia piuttosto alti in soggetti anziani potrebbero servire da campanello di allarme per l'Alzheimer, permettendo un precoce e quindi più efficace intervento sulla malattia.