Le punizioni hanno sempre avuto lo scopo di generare paura nella mente del bambino, perché aiutano a sottolineare che, in base all'errore commesso, corrisponde una pena di egual gravità. Attraverso tale metodo, i bimbi imparano che ad ogni azione che compiono vi è una reazione corrispondente. In passato si applicavano perlopiù punizioni corporali, attraverso le quali veniva inflitto del dolore fisico per insegnare a non compiere più una determinata azione, e di volta in volta aumentava il carico di percosse, fino a quando il bambino comprendeva la lezione.

Tuttora, in molte società, si pratica questo tipo di punizione che spesso sfocia in vera e propria violenza.

Un esempio è il caso che si è verificato in un centro per persone con bisogni speciali in Pennsylvania che ospita più di 100 residenti: i membri dello staff hanno ripetutamente usato restrizioni fisiche in violazione delle leggi statali e federali, e gli ospiti che si sono lamentati hanno subito ritorsioni. Oltre all'utilizzo eccessivo e improprio delle restrizioni, sono stati accusati di non essere riusciti ad introdurre interventi comportamentali appropriati, di non aver indagato adeguatamente e segnalato episodi gravi, di aver gestito strutture antigieniche, aver applicato trattamenti e punizioni ordinate senza ottenere il consenso informato, e di non aver fornito percorsi di formazione per i residenti della struttura per adulti.

Le punizioni corporali non rappresentano quasi mai un metodo in grado di risolvere i problemi, non insegnano nuove modalità di comportamento, e spesso sfociano in violenza. Per questo motivo, gli psicologi consigliano di utilizzare punizioni comportamentali che non sono delle vere e proprie penitenze, ponendosi come delle strategie che portano inevitabilmente il bambino a ragionare e ad interiorizzare l’insegnamento morale impartito dai genitori o da qualsiasi adulto.

Quando può essere definita efficace la punizione?

L'obiettivo delle punizioni, in generale, è quello di insegnare quali comportamenti, atteggiamenti e azioni che si possono mettere in atto o meno. Diversi studi in ambito psicologico-educativo dimostrano che le penitenze causano un cambiamento non per una reale comprensione dell'azione da non commettere, ma più per la paura di subire la punizione stessa.

Infatti la restrizione viene spesso vista dal bambino come un atto ingiusto e ingiustificato, ed è proprio per questo motivo che a tale strategia va affiancato il dialogo, metodo attraverso cui si spiega al piccolo la natura del suo errore, il motivo per cui verrà punito e cosa ci si aspetta in futuro. In questo modo il bimbo percepisce, comprende e interiorizza l'insegnamento morale e non ricadrà nello stesso errore, perché fondamentalmente ha capito il motivo e non semplicemente perché ha paura di essere punito.

Spesso capita di sentire che punire sia la scelta giusta in ogni caso e con ogni bambino. In realtà, alcuni studi educativi dimostrano che la punizione ha l'effetto desiderato solo in funzione della natura del bimbo, dell'azione commessa e della "sostanza" della punizione, ossia di quali siano le richieste e i divieti imposti nel momento in cui si infligge un castigo.

È sempre stato sconsigliato il divieto di svolgere attività sportive o ricreative, perché il bambino ha necessità di tali attività per il suo benessere psicofisico.

Un errore che compiono molti genitori e a cui spesso si fa riferimento come elemento da evitare, è il fatto che, quando un bambino viene punito, gli si tolgono gesti affettuosi come il bacio della buonanotte, o routine di scambi affettivi. Questo metodo viene seguito in diverse occasioni, ma in realtà è da evitare perché genera un forte senso di colpevolezza nel piccolo, non degno d'amore, causando a lungo andare l'emergere della convinzione errata per cui lui sia troppo sbagliato e che, di conseguenza, sia giusto che venga punito, intaccando spesso il livello dell'autostima.

Per i bambini è fondamentale l'apprezzamento e il riconoscimento da parte dei genitori per la formazione della personalità e dell'autostima, e quando vengono rimproverati o puniti la loro autostima riceve un grosso contraccolpo, provocando sensi di colpa esageratamente profondi, e spesso anche sentimenti di rabbia. Se a queste sensazioni si associano anche pensieri relativi alla mancanza di affetto, il mondo interiore del bimbo ne esce semidistrutto. Questi, infatti, ha la necessità costante di avere la certezza di essere amato, nonostante i suoi sbagli.

Vademecum per l'efficacia di una punizione

Tuttavia, il detto che "il troppo stroppia" vale anche in questo caso, perciò le punizioni non sempre sono negative, ma spesso servono a far capire che esistono determinate azioni che vanno assolutamente penalizzate, perché anche nella vita sociale e quotidiana funziona così.

Nonostante ciò, esistono delle regole da rispettare per far sì che la punizione sia un metodo educativo funzionale e positivo e, nello specifico, riguardano i modi, i tempi e la durata con cui le penitenze devono essere inflitte.

In particolare, per far sì che il bambino impari la lezione, è importante che la punizione venga assegnata ogni qualvolta il comportamento indesiderato si presenti: non è coerente punire una volta sì e una volta no per la stessa azione, perché il piccolo non comprende il nesso logico della punizione collegata all'atto da eliminare, e nella sua mente si genera un'aspettativa confusa circa un determinato comportamento. Un altro aspetto da tenere in considerazione è la durata della punizione, per cui se si dice che per un tot di giorni il bambino sarà penalizzato, la punizione dovrà rispettare il tempo prestabilito, altrimenti il bimbo potrebbe non prendere sul serio la strategia educativa che, così, rischierebbe di non avere le conseguenze desiderate.

E qui diventa importante la coerenza dei genitori: il bambino deve notare che la madre e il padre seguono la stessa linea educativa. Difatti non possono esserci differenze sulle strategie utilizzate, sui modi e sui tempi, altrimenti il figlio imparerà a sfruttare queste diversità, e svilupperà una confusione circa l'autorevolezza dei genitori.

Infine, affinché sia una componente positiva nella strategia educativa, bisogna prestare attenzione ai modi con cui viene definita la punizione: non si dovrebbe ricattare, cioè non si dovrebbe minacciare un bambino di punirlo se non fa ciò che gli viene richiesto, perché poi attuerà quel comportamento solo in funzione del fatto che non vuole finire in castigo, e non perché è una richiesta che la mamma o il papà gli stanno rivolgendo.

Inoltre è necessario evitare di urlare o di comunicare con violenza, poiché altrimenti il bimbo rischia di sviluppare sentimenti di umiliazione, offesa e degradazione, causando quindi l'effetto opposto.

Ovviamente, tali aspetti sono solo delle linee guida che non necessariamente vengono considerate valide in tutti i casi, in tutte le società, in tutti i momenti della vita del bambino. Come sempre, anche queste metodologie vanno e devono essere adattate alla personalità del bimbo, alla natura dell'azione indesiderata da far sparire, e alle strategie educative ritenute adatte dai genitori.