Il tumore della prostata è uno dei più diffusi tra gli uomini ed il rischio di contrarlo è direttamente proporzionale all’età tanto che se a 50 anni 1 uomo su 4 presenta cellule cancerose nella prostata, a 80 anni questa condizione arriva ad interessare 1 uomo su 2. Fortunatamente, una percentuale superiore al 90 per cento sopravvive dopo cinque anni alla diagnosi, e questo pone ulteriormente l’accento sulla necessità di arrivare ad una diagnosi precoce per la quale, secondo gli ultimi studi, il test del Psa non sembra più essere sufficiente.

I dati del tumore alla prostata in Italia

Secondo i dati riportati dal rapporto ‘I numeri del cancro in Italia 2017’, in Italia sono stati registrati nello scorso anno 34.800 nuovi casi di tumore alla prostata che, secondo le statistiche degli anni precedenti, si trasformeranno in decessi per l’8 per cento dei pazienti. Da sempre la ricerca si concentra su una efficace strategia di screening per controllare la popolazione maschile over 50 ed intercettare lo sviluppo del tumore alla prostata nelle primissime fasi, quando è più alta la possibilità di sconfiggere la malattia.

Il più comune strumento sembra essere quello del test del Psa o antigene prostatico-specifico, un enzima che contribuisce a mantenere fluido lo sperma e la cui concentrazione aumenta in caso di patologia.

Si ritiene, quindi, che il test del Psa possa essere un segnale della presenza di cellule tumorali nella prostata.

Basta il test del Psa per scoprire il tumore alla prostata? Le ultime ricerche

Una recente ricerca realizzata nel Regno Unito ha però sollevato dubbi sull’efficacia di uno screening basato esclusivamente sul test del Psa.

La ricerca ha interessato oltre 400mila uomini di età compresa tra i 50 e i 69 anni che sono stati seguiti per un periodo di dieci anni per identificare una connessione tra individuazione dei casi di tumore alla prostata e mortalità. Ebbene, i risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Jama, hanno rilevato una maggiore identificazione dei tumori ma un numero di decessi invariati.

Questo ha portato i ricercatori ad affermare che uno screening basato solo sul test del Psa non rappresenta un metodo efficace per l’attuazione di terapie in grado di ridurre la mortalità.

Il Psa, infatti, può variare anche in funzione di altri fattori, quali infiammazioni, attività fisica intensa, alimentazione scorretta. Valori anomali possono quindi essere solo un segnale d’allarme e non necessariamente costituire una diagnosi della malattia che può arrivare solamente in seguito ad ulteriori analisi quali la biopsia.