La sindrome dello spettro autistico è una patologia per molti aspetti ancora abbastanza oscura: non abbiamo evidenze sperimentali circa la sua genesi né un disegno completo ed esaustivo di quali distretti neurali colpisca, né, purtroppo, una terapia clinica che possa risolvere il problema. Chiaro, molti progressi sono stati fatti, ma la strada è ancora molto lunga.
Cosa sappiamo finora
Quella che oggi da manuale viene definita 'Sindrome da spettro autistico' è una sindrome comportamentale dello sviluppo, con esordio sintomatico nel corso dei primi tre anni di vita.
Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri. L’autismo, pertanto, si configura come una disabilità permanente che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo. Si possono anche definire tre diversi livelli di disabilità, e nello specifico disabilità:
- nell'interazione sociale, ovvero compromissione, ritardo o atipicità dello sviluppo delle competenze sociali;
- nella comunicazione e nel linguaggio: compromissioni e atipicità del linguaggio e della comunicazione, verbale e non verbale;
- nel comportamento, con la Presenza di comportamenti ritualistici/ripetitivi.
Si configura come un disturbo biologicamente determinato, in cui sembrano coinvolti Cervelletto, Sistema Limbico e corteccia frontale, oltre a forse una compromissione della corteccia mediale prefrontale.
Lo studio
Recentemente il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Milano-Bicocca ha indetto uno studio volto a delineare la possibile esistenza di una differenza di genere nella manifestazione sintomatica della sindrome. I ricercatori hanno mostrato 800 fotografie di 6 attori diversi intenti in atti comunicativi attraverso dei gesti simbolici di uso comune, sia deittici (indicare da qualche parte), sia iconici (picchiettare sul polso con un dito per indicare l'essere in ritardo), sia emblematici (come formare una V con l'indice e il medio in segno di pace).
L'esperimento consisteva nell'indicare se ogni atto comunicativo fosse correttamente correlato con la sua didascalia, ma in metà delle foto il volto dell'attore veniva oscurato, in modo tale da simulare la condizione dei soggetti affetti della Sindrome dello spettro autistico, che da un lato evitano di guardare il volto dell'interlocutore per scongiurare un'iperattivazione dell'amigdala (e conseguente sentimento di paura), dall'altro hanno deficit anche a livello della corteccia mediale prefrontale, area deputata ai processi di mentalizzazione e alla regolazione delle relazioni interpersonali.
È stato così possibile dimostrare come l’oscuramento del volto non influenzava l’accuratezza delle donne, né riduceva i loro potenziali bio-elettrici cognitivi mentre procurava uno svantaggio nel genere maschile, confermando l'ipotesi che le donne siano più resistenti.