Un fumatore accanito aveva proposto richiesta di risarcimento contro la casa produttrice Philip Morris, i Monopoli di Stato ed il Ministero della Salute, sostenendo di aver fumato fin fa giovane ben due pacchetti di sigarette al giorno, finché gli venne diagnosticato un tumore ai polmoni. Attribuiva la causa della malattia - che lo portò alla morte nel corso del processo, proseguito poi dai suoi eredi - proprio al fumo, e dunque ai soggetti che avevano prodotte e poste in commercio le sigarette, ed anche contro il Ministero della Salute che non era intervenuto efficacemente.

Si sa che fumare fa male

Già il Tribunale e la Corte d'Appello, però, avevano rigettato la domanda risarcitoria, affermando che la dannosità del fumo era un fatto di comune esperienza, noto socialmente anche in Italia almeno sin dagli anni '70. Prima ancora degli interventi realizzati dal Ministero della Salute con i ben noti "avvertimenti", infatti, vi erano stati studi scientifici diffusi ed accettati, e numerose campagne pubblicitarie.

Fumare è una scelta sbagliata

La Corte di Cassazione, ora, con sentenza n. 11272 del 10 maggio 2018, ha rigettato anche l'ultimo ricorso, affermando che la scelta di fumare, nonostante la riconosciuta nocività del fumo è un atto libero, volontario e consapevole del soggetto che pone in essere tale comportamento: per questo, il soggetto che poi si ammala, e addirittura muore, non ha diritto ad essere risarcito.

L'uomo aveva tentato di dimostrare che la dipendenza dal fumo era stata indotta da determinate sostanze contenute nelle sigarette, ed aveva sostenuto di aver cercato di smettere di fumare, senza però riuscirci. In punto di diritto, aveva affermato che il suo consenso era stato viziato da questi raggiri, posti in essere dai produttori con dolo.

La Cassazione, però, ha "smontato" anche questo aspetto, ritenendo impossibile che la nicotina annulli la volontà di autodeterminazione del soggetto costringendolo a fumare dai due ai quattro pacchetti di sigarette al giorno senza mai riuscire a smettere.

In sostanza, la scelta di fumare, nonostante si sappia bene che fa male alla salute e può provocare malattie o addirittura la morte, non è, secondo i supremi giudici, risarcibile, perché chi la effettua è consapevole dei gravi rischi e tutta la responsabilità è sua.

Come a dire, secondo una massima popolare (non utilizzata nella sentenza della Cassazione, ma il senso è quello): "Chi è causa del suo mal pianga sé stesso".

Nessun risarcimento per il cancro al polmone

La consapevolezza del danno che si sta arrecando alla propria salute è più forte di ogni responsabilità per danni prevista dalla legge, anzi, in termini giuridici preclude la stessa possibilità di individuare i presupposti per accogliere la domanda risarcitoria: infatti - ha ritenuto la Cassazione - una volta "accertato" che il nesso di causalità tra il fumo e la malattia, o anche la conseguente morte, è "interrotto" dalla scelta consapevole e volontaria di fumare, liberamente adottata nonostante la ben conosciuta rischiosità, non ha più alcuna rilevanza, per il diritto, una eventuale "colpa" dei produttori e distributori di tabacco per aver immesso in consumo tali sostanze nocive alla salute.

La sentenza in commento, quindi, sembra precludere spazio per la possibilità di ammissione di domande di risarcimento danni in tutti i casi di cancro al polmone provocati dal fumo, fermo restando che in caso di altre malattie - il cui rischio di contrarle fumando non può ritenersi altrettanto "noto", ossia conosciuto, accettato e di comune esperienza - la valutazione ben potrebbe essere diversa.