La stagione del ciclismo è appena iniziata e sono già tante le corse che sono state annullate o radicalmente modificate a causa delle condizioni climatiche avverse. Sono gli effetti del nuovo Protocollo sulle condizioni climatiche estreme entrato in vigore nella passata stagione. La sicurezza è giustamente il tema da mettere in prima linea quando si deve decidere se correre o no una gara sotto la neve o con un vento burrascoso, anche se nel Ciclismo del passato sono proprio queste tappe ad essere entrate nella leggenda. Allan Peiper, uno dei testimoni di una delle giornate più incredibili della storia del Giro d’Italia, quella sul Gavia nel 1988, ha parlato con un po’ di nostalgia di un ciclismo da leggenda ormai lontano.

Peiper: “Quei giorni sono lontani”

E’ successo per il vento al Dubai Tour e alla Volta Valenciana, per il caldo al Tour Down Under e alla Vuelta de San Juan. Tutte tappe accorciate o annullate applicando le nuove norme del Protocollo sulle condizioni climatiche estreme che vogliono aumentare la sicurezza dei corridori. L’introduzione del Protocollo è certamente un passo avanti importante per salvaguardare l’incolumità dei corridori e non esporli a rischi eccessivi, ma d’altra parte in alcune situazioni potrebbe togliere un po’ di quel romanticismo, di quella voglia d’avventura e di andare oltre i propri limiti che hanno reso leggendario il ciclismo. Non c’è più il ciclismo di una volta, non ci sono più quei corridori, o forse più semplicemente non c’è più quel mondo in cui tutto ciò era possibile.

Non ci sarà più un Gavia, una tappa come quella del Giro ’88 in cui la corsa si trovò in una bufera di neve. “Se mi guardo indietro sono orgoglioso di aver fatto il Gavia quel giorno ed essere arrivato al traguardo” ha ricordato a Cyclingnews uno dei reduci di quella mitica tappa, l’australiano Allan Peiper “E’ stato come un passare oltre, un rito, ma è qualcosa che si è perso a causa della crescente professionalità dello sport”.

Peiper ricorda un ciclismo dai risvolti durissimi, in cui i corridori non battevano ciglio di fronte alle difficoltà più estreme: “Nell’inverno del 1985 le temperature sono rimaste a 15 sotto zero per due settimane e io mi allenavo quasi ogni giorno intorno a Geraardsbergen, dove le strade venivano salate. Mi è servito per correre in quelle condizioni, ma quei giorni sono andati. Oggi i corridori non sono più abituati a queste condizioni. In Belgio al primo accenno di pioggia i corridori vanno ad allenarsi in Spagna, la mentalità è cambiata”.