L’incidente avvenuto all’arrivo della prima tappa del Giro di Polonia è stato il momento più drammatico della passata stagione del ciclismo professionistico. In un finale molto pericoloso, in discesa e con delle transenne particolarmente fragili a bordo strada, Dylan Groenewegen provocò una terribile caduta deviando la propria traiettoria. A farne le spese fu Fabio Jakobsen, buttato sulle barriere dal velocista della Jumbo Visma e finito in ospedale a lottare tra la vita e la morte. Dopo giorni di angoscia, la situazione girò al meglio per Jakobsen che, a distanza di quasi sei mesi da quell’incidente, sta riprendendo cautamente a pedalare.

Groenewegen: ‘Non potevamo uscire di casa da soli’

Quella rovinosa caduta ha destato una grande impressione nel mondo del ciclismo, aprendo un dibattito sulla sicurezza che ha chiamato in causa anche l’Uci e gli organizzatori. Se è vero che a innescare l’incidente fu la manovra irregolare di Groenewegen, fu altrettanto chiaro che ad accrescerne gli effetti furono la scelta e l’allestimento del percorso. L’arrivo in volata su una strada in discesa portò a delle velocità altissime, e la fragilità delle transenne a bordo strada non garantì nessuna protezione ai corridori caduti.

L’unica decisione assunta dall’Uci su questo incidente è stata però una pesante squalifica comminata a Dylan Groenewegen, fermato per nove mesi per aver provocato quella caduta.

Il velocista olandese è tornato ora a parlare di quanto avvenuto in Polonia, e soprattutto nel periodo successivo, in un’intervista al giornale Helden. Il corridore della Jumbo Visma ha raccontato di aver vissuto un vero incubo, non solo il senso di colpa per aver provocato quell’incidente con conseguenze così gravi per Jakobsen, ma anche per le minacce che lui e la sua famiglia hanno ricevuto.

“Ci sono state minacce molto gravi e concrete, abbiamo chiamato la polizia qualche giorno dopo l’incidente” ha dichiarato Groenewegen. “Nei giorni e nelle settimane seguenti la polizia ha sorvegliato la porta di casa nostra. Non potevamo uscire di casa da soli. Quando volevamo uscire un poliziotto ci accompagnava in modo che non ci potesse accadere nulla” ha rivelato il corridore olandese.

‘Com’è possibile, in che mondo viviamo?’

Quello che ha colpito di più Dylan Groenewegen è che le minacce non siano state rivolte solo a lui, ma a tutta la sua famiglia. “Abbiamo ricevuto delle lettere scritte a mano e in una di queste ci hanno lasciato un cappio per impiccare nostro figlio. Quando ricevi quel messaggio e la corda resti terrorizzato. Non potevo continuare così e la polizia è intervenuta. Certo che ti colpisce. Com’è possibile, in che mondo viviamo? Alzarsi dal letto in quei giorni è stata una vera sfida” ha raccontato l’ex Campione d’Olanda.

Groenewegen sta cercando ora di mettersi definitivamente alle spalle questo periodo così traumatico. Dopo essere rimasto a lungo senza salire in bicicletta ha ora ripreso ad allenarsi in vista del rientro che avverrà a maggio, al termine dei nove mesi di squalifica.

Quello del velocista olandese sarà un ritorno per gradi: la Jumbo Visma ha programmato di non schierarlo in nessun grande giro in questa stagione, ma di fargli correre delle gare minori, a partire dal Giro di Ungheria dove è previsto il debutto.