La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha emesso la sentenza n°36474 depositata il 28 agosto 2019. In tale pronuncia il Supremo Collegio ha esposto un principio di giustizia tributaria che, di fatto, va ad allargare le maglie repressive del Fisco contro il reato di omessa dichiarazione Iva. In estrema sintesi, infatti, la Corte di Cassazione ha statuito che non è condannabile il prestanome di un'azienda per l'evasione Iva compiuta da quello che è l'amministratore di fatto della società a meno che non si riesca a dimostrare il cosiddetto dolo specifico.

I fatti alla base della decisione della Corte

Il supremo collegio si è trovato di fronte al ricorso di un'imprenditore bresciano che, in primo grado, era stato condannato a scontare 1 anno e 6 mesi di reclusione per il reato di omessa dichiarazione Iva per gli anni 2010 e 2011 associato all'occultamento e alla distruzione di documenti contabili relativi agli stessi periodi d'imposta La sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Brescia è stata confermata anche dalla Corte d'Appello di Brescia.

Contro tale decisione è stato presentato ricorso per Cassazione sostenendo, in primo luogo, la violazione per vizio di motivazione degli articoli 5 e 10 del Decreto legislativo n° 74/2000. Per la difesa del ricorrente, infatti, la sentenza va censurata in quanto l'imputato sarebbe stato riconosciuto colpevole, quale amministratore di diritto della società, basandosi esclusivamente sul fatto che quest'ultimo abbia accettato la carica di amministratore solo in quanto prestanome.

Ma di fatto, non conoscendo o ignorando del tutto i compiti e le responsabilità collegate a tale qualifica. E questo, secondo il ricorrente, non sarebbe sufficiente a dimostrare il dolo specifico, e cioè la piena volontà e consapevolezza dell'amministratore di diritto di evadere le Tasse in accordo con l'amministratore di fatto della società.

In secondo luogo, la difesa del ricorrente ritiene che la sentenza impugnata vada censurata anche in relazione alla pena comminata all'imputato, in quanto il Tribunale e la Corte d'Appello di Brescia non avrebbero tenuto debitamente conto degli elementi valorizzati dalla difesa.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Il supremo collegio ha ritenuto fondato il ricorso dell'imputato almeno per quanto riguarda la prima motivazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto, infatti, che non fosse stato sufficientemente dimostrato il dolo specifico dell'imputato. Richiamando la decisione della Corte d'Appello, la Cassazione ha affermato che i giudici dell'appello hanno dedotto il dolo specifico del ricorrente presumendo non un'ignoranza generale dello stesso circa i doveri e le responsabilità della carica di amministratore di una società ma, esclusivamente, la sua ignoranza del precetto, cioè della legge penale collegata al reato. Non solo, continua la Cassazione, per la Corte d'Appello l'ignoranza dell'imputato sarebbe da qualificarsi come una volontaria estraneità ai doveri connessi con la carica assunta.

Queste affermazioni della Corte d'Appello non vengono assolutamente condivise dalla Corte di Cassazione, la quale precisa che il vero soggetto qualificato non è il prestanome, ma chi gestisce effettivamente la società, il quale è il solo in grado e in condizione di compiere l'azione dovuta.

Il prestanome, invece, va ritenuto estraneo o, tuttalpiù a costui può essere attribuita una corresponsabilità solo in base al suo ruolo di garanzia, quale amministratore di diritto, sancito dall'articolo 2392 c.c.. Tale norma detta specifiche disposizioni in tema di "Responsabilità verso la società". In particolare, l'amministratore deve agire per conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società o i terzi. Il supremo collegio ha richiamato anche la sua precedente giurisprudenza per chiarire che il prestanome, nella maggior parte dei casi, non ha alcun potere effettivo di gestione della società. Di conseguenza, la Corte stessa per addebitargli un concorso di colpa ha fatto ricorso alla figura giuridica del dolo eventuale, in pratica con l'accettazione della carica di amministratore si accettano anche i rischi connessi.

Di conseguenza, è il ragionamento della Cassazione, per un'eventuale condanna è necessario che il giudice di merito individui degli elementi precisi che dimostrino la sussistenza del dolo specifico dal punto di vista soggettivo.