D'ora in avanti i giudizi dinanzi alle Commissioni Tributarie provinciali e regionali promossi dai contribuenti per ottenere un rimborso d'imposta da parte dell'Agenzia delle Entrate potrebbero svolgersi in maniera molto più celere e con minori spese da parte della Pubblica Amministrazione. In sintesi, questo potrebbe essere il risultato di una decisione della Corte di Cassazione cristallizzata nell'Ordinanza n° 21082 del 7 agosto 2019 della V Sezione Civile. Il Supremo Collegio ha, infatti, stabilito che qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito d'imposta l'Agenzia delle Entrate può legittimamente opporre in compensazione i propri crediti certi, liquidi ed esigibili.

I fatti alla base della decisione della Corte

La Corte di Cassazione si è trovata a decidere sul ricorso presentato da una Srl che chiedeva all'amministrazione finanziaria il rimborso di un credito d'imposta Ires di ben 1.300.000 euro risalente al 2003 e portato a nuovo di anno in anno dalla società ricorrente fino a quando la stessa non ne ha richiesto la restituzione. Successivamente detto credito veniva ceduto dalla Srl ad un consorzio di banche che rinnovavano l'istanza di rimborso nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. L'amministrazione finanziaria non rispondeva all'istanza facendo valere il silenzio-rifiuto. Di conseguenza, veniva proposto ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Padova.

La CTP di Padova dava ragione al consorzio di banche ricorrenti e condannava l'AdE al rimborso della somma richiesta in restituzione. Contro tale decisione della CTP di Padova l'Agenzia delle Entrate proponeva appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto che, confermando la decisione della CTP, rigettava il ricorso.

Di conseguenza, l'Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

I giudici del Supremo Collegio hanno richiamato quanto era stato incontrovertibilmente affermato nelle precedenti sentenze di merito. E cioè che esistevano in capo all'Agenzia delle Entrate crediti erariali, iscritti a ruolo a titolo definitivo, nei confronti delle banche del consorzio.

Tale circostanza era pacifica e non era stata contestata in alcun modo dalle parti. Di conseguenza, a parere del Giudice di legittimità, la motivazione del giudice di primo grado che rigetta l'eccezione di compensazione dei crediti formulata dall'Agenzia delle Entrate non è corretta. A tale proposito la Corte di Cassazione richiama quanto stabilito negli articoli 1, 12 e 49 del DPR 29 settembre 1973 n° 602. Il combinato disposto di tali norme disciplina la riscossione dei crediti erariali mediante iscrizione a ruolo che costituisce anche titolo esecutivo per l'azione di espropriazione forzata. Di conseguenza, secondo la Corte di Cassazione, l'iscrizione a ruolo definitiva attesta la titolarità dell'AdE di un credito liquido ed esigibile nei confronti del contribuente.

Per tali motivi, continua la Corte l'Agenzia delle Entrate può operare la compensazione dei crediti senza bisogno di emettere un provvedimento di sospensione ai sensi dell'articolo 23 del Decreto Legislativo n°472/1997. E questo per l'estensione operata dal Decreto legislativo 158/2015 ai contro-crediti di cui sia titolare l'amministrazione finanziaria in ragione di maggiori tributi dovuti dal contribuente sia a titolo definitivo che non. Questa possibilità dell'amministrazione finanziaria trova conferma anche in quanto disposto dall'articolo 1243 del Codice Civile che disciplina, appunto, la compensazione legale e giudiziale dei crediti in ambito civilistico. In base a tale norma, spetterà poi al giudice, una volta verificata la sussistenza dei requisiti di esistenza, certezza e liquidabilità dei crediti opposti dall'Agenzia delle Entrate, dichiarare l'estinzione totale o parziale del credito principale il cui rimborso è stato sollecitato dal contribuente.