È stata depositata ieri, 11 settembre, la Sentenza 37532/2019 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione. In tale sentenza, il Supremo Collegio ha stabilito un principio giuridico che farà sicuramente discutere parecchio non solo gli addetti ai lavori, ma tutti i contribuenti che si fanno assistere da un professionista in materia fiscale, come un commercialista o un fiscalista o un tributarista. La Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che se il professionista non ha provveduto a presentare la dichiarazione dei redditi del contribuente, quest'ultimo potrebbe comunque subire la confisca dei propri beni da parte dell'amministrazione finanziaria.

I fatti che hanno portato alla pronuncia della Corte

La Corte di Cassazione si è trovata a decidere sul ricorso presentato da un contribuente, legale rappresentante di una Srl, che in primo grado era stato condannato dal Tribunale di Messina alla pena, successivamente sospesa, di un anno di reclusione, in base a quanto stabilito dall'articolo 5 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n° 74. Al contribuente, infatti, veniva contestata la mancata presentazione delle dichiarazioni Ires e Iva relative all'anno di imposta 2011, e la conseguente evasione fiscale per l'importo complessivo di 334.646 euro. Tale decisione era stata confermata anche nel successivo grado di giudizio dalla Corte d'Appello di Messina.

Il contribuente ha proposto ricorso di fronte alla Corte di Cassazione sostenendo che la Corte territoriale aveva individuato il dolo nel mero fatto dell'omissione della dichiarazione. Mentre, a parere del ricorrente, la Corte sarebbe incorsa in gravi errori di diritto in quanto avrebbe dovuto accertare e provare che ci fosse la consapevole preordinazione dell'omessa dichiarazione.

Di conseguenza non sarebbe stato provato il cosiddetto dolo specifico.

Inoltre, in merito all'applicazione della pena della confisca dei beni secondo quanto previsto dall'articolo 12 bis del Decreto legislativo del 10 marzo 2000 n°74 e dall'articolo 240 del Codice Penale, il ricorrente ha osservato che detta confisca non poteva operare per la parte che il contribuente si era impegnato a versare all'erario.

Tanto più che all'Agenzia delle Entrate era stato presentato un accertamento con adesione e la stessa amministrazione finanziaria aveva concesso la rateizzazione degli importi dovuti dopo la presentazione di idonea istanza e predisposizione del relativo piano di ammortamento.

I motivi della decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso presentato dal contribuente, ma solo in base e relativamente al primo motivo di ricorso. In pratica, Il Supremo Collegio ha richiamato un suo consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale per provare effettivamente il cosiddetto dolo specifico di evasione non è sufficiente dimostrare la semplice violazione dell'obbligo dichiarativo ma deve essere sempre provata la ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il contribuente ha consapevolmente preordinato l'omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta.

D'altra parte, la condotta omissiva relativa alla presentazione delle dichiarazioni, secondo la Corte di Cassazione, ha generato un indubbio vantaggio fiscale a carico del soggetto obbligato, anche se derivata dal conferimento di un incarico specifico al professionista. Di conseguenza, anche se la risposta fornita dalla Corte territoriale non ha tenuto conto dei principi sopra richiamati, ha ribadito che la responsabilità della condotta omissiva del professionista deve essere ascritta al contribuente che ne ha tratto vantaggio.

Secondo la Corte di Cassazione, il primo motivo di ricorso assorbe anche il secondo, cioè quello relativo alla confisca dei beni del contribuente, in base agli articoli 12 bis del Decreto legislativo 10 marzo 2000 n° 74 e articolo 240 del codice penale. Di conseguenza, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia il tutto alla Corte d'Appello di Reggio Calabria per un nuovo giudizio.