Oggi, ce lo confermano anche le ultime ricerche Nielsen: se una marca qualsiasi desidera fare pubblicità, deve fare necessariamente comunicazione online all’interno della propria strategia. Dall’altra parte, però, ci sono persone che si sorbiscono (già) migliaia di finestrelle che si aprono e spot che nessuno vorrebbe trovarsi davanti. Ci si trova, quindi, a fare uso di servizi anti-pubblicità come Adblock, noto filtro online gratuito per pagine web. Adblock si rivela decisivo nel contrastare banner e video invasivi, non graditi o irrilevanti.

Negli ultimi due anni, il successo del fenomeno Adblock ha portato l’industria della pubblicità online – editori, agenzie, concessionarie e investitori pubblicitari – a fare "mea culpa" per aver permesso lo sviluppo di formati pubblicitari eccessivamente invasivi, oltreché esigenti dal punto di vista del consumo di dati.

Le persone che ne fanno uso rappresentano al momento già il 41% dell’utenza web mondiale. Secondo Adweek, il 63% dei Millennial americani lo usa quotidianamente, mentre un Millennial americano su cinque lo usa sullo smartphone.

Persino l'Italia, che non primeggia nelle statistiche internazionali relative alla banda, detiene un 13% di utenti che usa filtri anti-pubblicità, questo il dato della ricerca interassociativa “Lo stato dell’arte dell’Ad blocking in Italia” di settembre 2016.

Oggi però il software, che ha costretto tutti a smettere di puntare su pubblicità online invasive e, a volte, persino illusorie, non sta più crescendo.

I dati mostrano che in grandi nazioni il numero degli ad blocker si è arrestato, ha avuto addirittura un leggero calo nei mesi più recenti.

È proprio la Germania, nazione in cui il software è molto popolare, a fare il primo “passo falso”. Il report delle aziende Bundesverband Digitale Wirtschaft (BVDW) and Online-Vermarkterkreis (OVK) mette in evidenza come, per il terzo trimestre consecutivo, la misura di blocco degli annunci abbia mostrato un modesto calo: -1,4% nel primo trimestre, -0,7% nel secondo, -0,3% nel più recente.

Una tendenza preoccupante. Nel frattempo, neppure l’apocalisse del mobile ad blocking è mai arrivata. La realtà è che si è ancora lontani dalla riuscita di un tool efficiente su smartphone per debellare la pubblicità. Eppure chiunque è incappato almeno una volta in quella pagina nociva che esplicita un “necessario download” di un fatidico antivirus.

Se la tendenza proseguirà, le statistiche suggeriscono che il blocco pubblicitario sarà popolare solo in determinate zone geografiche e il software non raggiungerà mai le proporzioni temute dai più.

Eric Franchi, co-founder di Undertone, ha dichiarato “Non so se sto sovrastimando la questione, ma ho la sensazione che i blockers abbiano perso la sfida del 2016”, riferendosi all’insuccesso della copertura mondiale del filtro.

Non è ancora chiara la ragione per cui stia avendo luogo questo grave rallentamento, ma una possibilità è che si stia raggiungendo una saturazione del servizio per la quale chi vuole il blocco pubblicitario se l’è già installato. Un’altra eventualità è che l’uso dei desktop computer si stia concentrando quasi esclusivamente sui social, cosa che escluderebbe – più o meno – la necessità dell’uso di Adblock.

Sarà davvero così?

Il fatto più straordinario è che non ovunque è così. Negli stati dell’Asia Pacifica, fra cui figurano Australia, Giappone e la Repubblica Popolare Cinese, si concentra il 93% degli utenti che usano il blocco-annunci su mobile: merito del browser UC Alibaba che, per ovviare al problema di zone con poca larghezza di banda, estranea la pubblicità dalla navigazione. Quindi, c’è ancora speranza?

Alcuni analisti perseverano e affermano che i numeri risaliranno. In fondo, la tecnologia giusta potrebbe arrivare in qualsiasi momento e raggiungere finalmente un pubblico di massa, al momento però la maggior parte delle industrie online continua ad assillare le persone con popup invasivi e deleteri. Fate presto!