Sir Tim Berners-Lee è un informatico britannico che 28 anni fa ha co-inventato insieme a Robert Calliau il World Wide web. Recentemente ha rilasciato un'intervista in cui riflette sull'attuale andazzo di internet. Se da un lato vede in parte la realizzazione del processo di democratizzazione 2.0, dall’altro proprio questo processo cela delle debolezze in contrapposizione con gli iniziali propositi. Le dinamiche che minacciano il web sono essenzialmente tre: la perdita di controllo sui dati personali, la disinformazione e la pubblicità politica disonesta.

La fuga dei dati

La prima grande sfida riguarda la perdita di controllo sui dati personali. Senza troppe preoccupazioni cediamo informazioni per raggiungere obiettivi in rete non realizzando che stiamo permettendo alle aziende di capitalizzare.

Barners-Lee sottolinea la responsabilità dell’Enterprise sullo sviluppo di nuove strategie e modelli di business che ridimensionino i termini contrattuali di sottoscrizioni e pagamenti.

Un’altra conseguenza più problematica riguarda l’utilizzo di questi dati da parte del governo. Un esempio riportato dal creatore del Web è l’Investigatory Powers Bill, legge britannica sulla privacy che concede speciali poteri di vigilanza, come la possibilità di registrare e archiviare ogni sito che un utente visiona o arrivare ad hackerare smartphone in situazioni di provata necessità.

Ragionando su una prospettiva più individuale, ricerche internazionali confermano che libertà è riuscir a tener nascoste parti di sè, in modo da poter pensare senza preoccupazioni e correggersi, scappando dallo sguardo e quindi dal giudizio di terzi, che filtra e influenza in parte in nostro modo di agire. Proteggere i dati personali è proteggere il libero pensiero.

La disinformazione

Internet è diventato senza alcun dubbio il riferimento fondamentale per la ricerca in ogni campo. Secondo nuovi dati accumulati da Audiweb l’88,7% della popolazione Italiana accede a internet da location fisse, di cui il 75,8% da smartphone. Molti di loro si limitano ad una navigazione “surface”, le informazioni più facili da reperire, le meno affidabili.

Come ha avuto recentemente bisogno di dichiarare il Vice Presidente della Commissione Europea “In Europa la libertà di espressione è più importante delle fake news”. Anche in questa situazione la responsabilità è rimandata alle aziende, sono loro stesse che devono autoregolamentarsi per bloccare la diffusione di falsità e odio. Creare una sovraorganizzazione super partes che controlli il flusso rappresenterebbe una potenziale minaccia, non può esserci un solo organismo ad approvare la verità, perché palesemente la snaturerebbe.

L'advertising politico

In molti avranno notato che le pubblicità digital sono indirizzate in modo specifico sulla base dei contenuti già visualizzati. Gli analytics indagano traffico e preferenze in rete grazie ad algoritmi.

Sono proprio questi fantastici calcoli che in totale autonomia analizzano quello che più ci piace e poi ce lo ripropongono sotto diverse spoglie, banner, pop-up, mid-roll, push-bar e via dicendo.

Meno palese è che queste metodologie siano utilizzate anche in politica. In America i tweet generati durante le campagne pubblicitarie raggiungono un livello di dissonanza sconfortante, a causa dell’identificazione di diversi target e alla voglia di aggiudicarsi tutte le loro preferenze. Conoscendo la scienza dei dati è oggettivamente possibile raggiungere un elettorato variegato, manovrando l’opinione di piccoli gruppetti, dando informazioni contraddittorie volte ad assecondare.

La situazione in Italia è molto particolare e difficilmente paragonabile in termini di diversificazione della popolazione, ma si osservano fenomeni simili, partiti con un grande bacino di utenza ne approfittano creando siti informativi di parte e lanciando fake news per situazioni specifiche, fanno propaganda ma cercando comunque di spacciarla per attivismo. Una situazione tutt'altro che etica e difficile da controllare.