Essere uno scienziato degli anni 60’ che cerca di studiare i segnali captati dal cosmo e ad un certo punto, nel silenzio più assoluto dell’universo, cominciare a sentire dei suoni chiari che si ripetono ad intervalli regolari, come se provenissero da una qualche fonte artificiale. Di certo Susan Burnell, l’astrofisica che registrò la prima volta questi segnali, ancora non conosceva questo tipo di fenomeno, tanto che queste onde le chiamò LGM, ovvero 'Little Green Man' facendo riferimento al fatto che segnali così regolari potessero provenire da una fonte aliena.

Ma cosa sono esattamente queste pulsar?

Una magia stellare

Le pulsar sono delle stelle a neutroni, le quali si formano a seguito di uno degli eventi più magnifici dell’universo, le supernove. A seguito di questa immensa esplosione, gli strati esterni della stella vengono espulsi e ne rimane il denso nucleo. Tale nucleo è uno dei corpi più densi dell’universo, con una densità pari a decine di migliaia di miliardi di grammi per centimetro cubo. Di conseguenza l’attrazione gravitazionale è estremamente enorme, quasi mille miliardi di volte quella della superficie terrestre. Tutta questa magnificenza è racchiusa in una stella con un raggio paragonabile a quello di una grande città. Ma le caratteristiche principali non finiscono qui.

Queste stelle presentano una rotazione sul proprio asse così elevata da lasciare a bocca aperta. Si pensi che la stella con il periodo di rotazione più breve, ruota su se stessa ben 700 volte al secondo ad una velocità equatoriale di circa 70.000 km/h, quasi un quarto della velocità della luce. Questo movimento repentino porta le particelle cariche del campo magnetico ad emettere un enorme flusso di onde elettromagnetiche che fluiscono dai poli e, se i getti intercettano la Terra, fanno ricevere la radiazione a intervalli regolari dati dalla frequenza di rotazione della stella.

Proprio come se si osservasse un faro che illumina a intervalli di durata pari al tempo impiegata della stella a compiere mezzo giro. Questi oggetti prendono il nome di Pulsar.

Osservazione di una pulsar

La difficoltà per un’osservazione diretta di una pulsar è data dal fatto che, nonostante siano oggetti di grande potenza, sono piccoli.

E di conseguenza un’osservazione diretta è pressoché impossibile farla. Ma dove non giunge il braccio, può arrivarci la testa. Ed è proprio quello che hanno fatto gli astrofici dell’Università di Toronto, che hanno utilizzato un metodo molto astuto. Essi si sono serviti della presenza di un’altra stella che orbitava attorno alla pulsar PSR B1957+20, distante 6.500 anni luce dal Sistema Solare. Le nubi attorno a questa orbita binaria sono servite da lente di ingrandimento per un’osservazione diretta della pulsar. I fisici ipotizzano che i bordi della nube di plasma agiscono come una lente, aumentando la luminosità osservata della pulsar per brevi periodi.

Basti pensare a come una lente di ingrandimento metta a fuoco la luce, in cui le onde radio sono piegate e le onde che arrivano ad un osservatore dalle angolazioni differenti possono sovrapporsi per produrre un punto luminoso.

Tale impresa è equivalente a misurare la larghezza di un pelo su Marte dalla terra. Così facendo i ricercatori sono riusciti ad ottenere la prima immagine definita di una pulsar. Un’altra grande impresa per l’uomo nello spazio è stata raggiunta.