Nella cultura italiana, ma soprattutto napoletana, il caffè è molto più di una bevanda rinvigorente, servita al mattino per accompagnare il primo pasto della giornata.
Il caffè nella cultura partenopea è un momento, un gesto, un’offerta, un invito. È il metro di misura, la misericordia e l’amore; il caffè è esoterismo, è il farmaco, la pozione magica e l’antidoto, è la povertà e la ricchezza che si specchiano come la vita e la morte. Il caffè a Napoli è cultura, tradizione, è il cammino del palato verso la resurrezione dei sensi. Ma il caffè si deve saper fare, rigorosamente con la moka mi raccomando, nero bollente e denso da offrire ad ogni ospite che varca la soglia dell'uscio.
Un rituale sacro che si veste dei loro panni ed entra nelle loro ossa e diventa sinonimo di cultura partenopea.
Un po' di storia del caffè
La storia del caffè è avvolta da miti e leggende ma presumibilmente risale al Medioevo, attorno al X secolo, o più plausibilmente al XV secolo. Questa “inesattezza” nasce da tutta una serie di narrazioni costruite intorno al suo primo utilizzo.
Il caffè, in quanto prodotto, deriva dall'albero di Coffea, una pianta della famiglia delle Rubiaceae originaria dell'antica provincia di Kefa situata nel Sudovest dell'Etiopia e che annovera più di 100 specie di arbusti. Dal punto di vista commerciale, però, di queste 100 specie ne vengono considerate solo due: la Coffea Arabica, e la Coffea Canephora (ovvero la robusta), la prima forse più conosciuta della seconda.
Però, solo quando la coltivazione si diffuse nella penisola arabica, complici le ridotte distanze geografiche, il caffè raggiunse la sua massima popolarità beneficiando del divieto islamico che aveva interessato le bevande alcoliche sostituendone quasi l’uso; da qui prese il nome di "K'hawah" per la sua natura ed infatti significa "rinvigorente".
La prima prova tangibile e valida dell'esistenza della pianta ma anche della caffetteria, o quantomeno del surrogato di quest’ultima, risale al XV secolo collocando l’aria geografica di paternità nell'attuale Yemen, più precisamente nei monasteri del Sufismo. Dal XVI secolo si espande, invece, nel resto del Medio Oriente, nel Nordafrica, in Persia, in Corno d'Africa e nell'India meridionale.
Nei Balcani e nel resto del continente europeo arriverà grazie all’impero ottomano per poi diffondersi nel Sudest asiatico ed infine alle Americhe. Fino al XVIII secolo, prima che se ne sviluppasse la coltura in Francia e in Olanda d'oltremare, risultava costoso a la causa della sua rarità. Aperta la strada dai francesi e olandesi, nel corso del XIX secolo, raggiunse il Sud America (Capitaneria generale di Cuba, nel regno del Brasile, in Venezuela) e le Indie orientali olandesi.
Tra miti e leggende del caffè
In tutte le culture, il caffè ha qualcosa di sacro e in una delle più famose leggende di stampo orientale viene fatto risalire a Maometto: l’Arcangelo Gabriele, vedendo il profeta vertere in uno stato di profonda prostrazione, donò a quest’ultimo la bevanda.
Altre versioni sostengono che lo stato di astenia e di frustrazione in Maometto fosse persistente e che, una volta, durante un suo passaggio nel deserto, vide delle capre che brucavano delle bacche. Le bacche in questione, presumibilmente riconducibili alla pianta del caffè, avevano un effetto eccitante sulle capre che saltavano come assatanate. Così, il profeta, decise di assaggiarle ottenendo lo stesso effetto. Altre goliardiche versioni lo rendono, invece, protagonista di prestazioni performanti con un numero considerevole di donne grazie, appunto, agli effetti del caffè: ”Soddisfò ben 40 donne”.
Insomma, la bevanda nasce in Medio Oriente e soltanto oggi diventa, nell’immaginario mondiale, uno dei simboli forti del “made in Italy” o per meglio dire “made in Naples”.
Questo, però, lo dobbiamo ai veneziani, responsabili di tutte le grandi acquisizioni di cibi oggi considerati del made in Italy. Il primo in assoluto che lo cita, nella prima metà del '500 è Gianfrancesco Morosini. ambasciatore della Repubblica Serenissima a Costantinopoli.
Al primo turista della storia piace caldo
È fin dalla sua scoperta, quindi, e dall'inizio del suo consumo, sia domestico che presso le sale da caffè pubbliche, che risultano numerose già nel Settecento, questa bevanda entra a far parte integrante della gastronomia napoletana.
Infatti, Il primo napoletano a descriverne le virtù della bevanda nera dal potere energizzante, rinvigorente, fu Giovanni Francesco Gemelli Careri Fonte, il primo turista della storia” per aver compiuto il giro del mondo per pura curiosità, negoziando di volta in volta un passaggio su di una nave o su di una carovana.
L’impresa compiuta dal Careri Fonte si rifà alle parole dello scrittore francese Jules Verne autore de “Il giro del mondo in 80 giorni” e “Ventimila leghe sotto il mare”. Egli racconta dei suoi Viaggi in Egitto, Persia, Turchia, Armenia, India e descrive delle rivendite particolari, che chiama i luoghi del caffè, incontrati lungo il suo cammino che verranno importati come modelli di consumo e subito adattato alla peculiare cultura napoletana.
Se mangiare è un atto politico, bere il caffè è un rito sociale
Per il caffè a Napoli esiste un vero e proprio culto, una sorta di rito, di religione laica che coinvolge i cittadini di qualsiasi ceto, genere ed estrazione sociale nella frequentazione assidua dei caffè e fa del consumo collettivo della bevanda il principale rito sociale della città.
Il caffè veste i panni di nucleo sociale attorno al quale orbitano tutte quelle iterazioni che si servono della tazzulella per varcare la soglia della conoscenza. È quel qualcosa che non si può negare, che accomuna, unisce e rincuora.
Da questo assunto nascono molte usanze come quella del caffè sospeso, ovvero l’abitudine di chi va al bar e paga due caffè invece che uno, riservando il secondo a chi è meno abbiente. Questo gesto antico ha permesso, e permette tutt’oggi di tessere una fitta rete di relazioni da cui nessuno è escluso.
Il caffè è un universale gastronomico che ha caratterizzato e caratterizza lo stile di vita prima italiano, e poi napoletano nel mondo e di fatto chi ne beve una tazzina è come se bevesse una tazza di Napoli.