Bravo come sempre Fabrizio Gifuni. Non era facile interpretare Pippo Fava in una fiction ben riuscita, narrata sul filo teso del realismo, priva di retorica. Non era facile perché la grandezza di Pippo Fava, barbaramente trucidato in un agguato di mafia dai detentori del sistema di potere economico-politico-criminale che reggeva la Catania negli anni '80, non consisteva nel suo ergersi a paladino di giustizia o nell'indossare i panni tragici dell'eroe. Al contrario, Pippo Fava era solo ciò che sentiva di dover essere: un giornalista. E un giornalista non è colui che scrive controvoglia e nel rispetto rigoroso delle regole formali, solo per fare il pezzo.

Un giornalista incarna l'etica della narrazione veridica, disvelante, quell'informazione che conosce il valore delle parole e le usa per scrivere quello che gli altri, i cittadini inermi, non possono dire.

Prima che la notte: film TV dalla trama lineare come quella del protagonista

Le immagini scorrono. Gifuni si muove sulla scena occupandola con la plasticità della presenza ma riuscendo a non ingombrarla. Le immagini scorrono e Gifuni con leggerezza le attraversa, così come faceva Pippo Fava che riusciva a sdrammatizzare puntando sulle idee, mostrando il lato possibile di una geometria lineare, piana, regolare, basata sui fatti. Così ha formato una piccola generazione di giovani giornalisti, i "carusi" come gli piaceva chiamarli, desiderosi d'imparare non solo un mestiere ma il suo intrinseco valore.

Quella dei ragazzi di Pippo Fava rimane un'esperienza di vita irripetibile, come alcune vicende che di tanto in tanto si realizzano nei luoghi più improbabili. Eppure, gli unici luoghi che possano accoglierle. E questo è stato colto dagli sceneggiatori (Monica Zappelli, Michele Gambino e Claudio Fava, figlio di Pippo) e dal regista, Daniele Vicari, capaci di imprimere al racconto la freschezza che animava i sentimenti, l'entusiasmo, gli ardori di quel gruppo di giovani e del loro "capitano": pirati della verità in un mare di menzogne.

Il vitalismo di Pippo Fava come antidoto alla paura

Il film TV trasmesso da Rai Uno colpisce soprattutto per la scansione cronologica dei fatti, come in un articolo composto impeccabilmente: il ritorno di Fava in Sicilia nel 1980 e via via il suo percorso professionale, il licenziamento dalla direzione de "Il Giornale del Sud" e poi fino alla redazione arrembante de "I siciliani", periodico controcorrente, un prodotto editoriale di contenuti vasti e significativi, impaginato con estrema qualità, un esempio di buon giornalismo.

Perché Pippo Fava era un uomo innamorato delle verità di vita. Quelle che intendeva raccontare ai lettori esattamente come fossero, con tutte le complessità e varietà, ma senza privare l'esistenza di quel gusto poetico irriverente che rappresenta uno dei caratteri della sua narrazione autentica: una sorta d'antropologia impertinente che scopre l'arte del vivere. Forse, tutto quel che rese Pippo Fava un uomo intenso e coraggioso consisteva proprio nel suo incessante richiamo all'esistere come scopo, come ricerca, come inchiesta, come curiosità. In questo egli è stato un autentico spirito del Mediterraneo. Un modo d'essere che sfugge al clamore della cronaca: si tratta di uomini e donne talmente limpidi da confondersi con i riflessi del sole su quel mare che fu sorgente di civiltà.