Le Mura venete di bergamo, assieme a quelle di Peschiera, Zara, Sebenico e Cattaro, sono entrate nella lista dei siti UNESCO. Costruite tra il XV e il XVII secolo, le mura veneziane oggi inserite nella lista dei siti protetti dall’Unesco sono sparse tra la Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, la Croazia e il Montenegro, rappresentando un esempio di fortificazioni tra la terra e il mare che testimoniavano la potenza della Serenissima. Le costruzioni sono state continuamente riprese dagli architetti militari della Repubblica di Venezia per far fronte allo sviluppo delle nuove armi da fuoco e resistere così alla sempre crescente potenza degli attacchi dei nemici.
Bergamo avamposto della Serenissima
Bergamo entrò a far parte del territorio veneto nel 1428 diventando la città di confine tra la Repubblica dei Dogi e il Ducato di Milano. Gli interessi economici e militari di Venezia si rivolgevano principalmente al mar Adriatico ed Egeo. Poca importanza veniva data all’entroterra, almeno fino alla fine del XV secolo quando l’apertura delle nuove rotte commerciali verso l’America costrinse la Serenissima a rivedere la propria politica e rivalutare i mercati interni. A seguito di questi cambiamenti si svilupparono nuove strade, come la via Mercatorum o la via Priula. Bergamo divenne un importante centro conteso da francesi, spagnoli, austriaci e solo dal 1516 la Repubblica riuscì a imporre il proprio dominio sulla regione.
Per difendere le vie commerciali verso il nord Europa e le miniere di ferro sparse attorno nelle Prealpi Orobiche, nel 1561 Venezia decise di proteggere la parte collinare della città di Bergamo dando l’incarico a Sforza Pallavicino, governatore generale della Repubblica, di costruire una cinta difensiva. Per dimostrare la propria rinuncia offensiva verso i vicini, il Doge invitò numerose delegazioni straniere a visitare i cantieri: le mura servivano solo a scopo protettivo e non vi era alcuna intenzione di inviare truppe al di là dei confini a scopo di conquista.
Scomuniche e proteste
L’architetto fiorentino Bonaiuto Lorini progettò il tracciato e il perimetro rivoluzionando il concetto di difesa sino ad allora in uso. Non più una linea retta di mura alternate da torri, ma una serie di sporgenze a spigolo, i bastioni, che permettevano alle guarnigioni di controllare e proteggere con maggior efficacia le mura rientranti.
La costruzione non fu priva di critiche, in particolar modo per la necessità di distruggere circa 600 edifici, tra cui otto luoghi religiosi come la cattedrale di Sant’Alessandro e il convento domenicano di Santo Stefano che valsero a Sforza Pallavicino altrettante scomuniche della chiesa bergamasca.
Tra i luoghi di culto che evitarono la distruzione ci fu il convento di Sant’Agostino, salvato sia per una questione pratica (era più semplice costruire le mura sfruttando le pendici collinari che si protraevano al di là del convento che spianare l’intera collina), sia perché i frati offrirono una ingente somma di denaro per cambiare il progetto. Agli abitanti di Bergamo venne vietato costruire abitazioni a meno di 52 metri dalle nuove mura, ma non si hanno notizie certe su eventuali rimborsi verso coloro che dovettero sloggiare dalle precedenti dimore.
Le mura vennero completate solo nel 1588, ben oltre l’anno preventivato all’inizio dei lavori. Alla fine la fortificazione risultò un imponente complesso che abbracciava la città per un perimetro di 6.200 metri a cui si accedeva attraverso quattro porte (porta San Giacomo, Sant’Agostino, Sant’Alessandro, San Lorenzo, oggi chiamata porta Garibaldi). Una quinta porta, chiamata Porta del Soccorso che si apriva nei pressi di Porta Sant’Alessandro, permetteva alla popolazione di poter usufruire di una via di fuga in caso di bisogno, mentre un passaggio sotterraneo collegava il Castello di San Vigilio, ultimo baluardo di difesa nel caso il nemico avesse varcato le mura. Tra la Porta Sant’Alessandro e la Porta San Lorenzo si ergeva il Forte San Marco, oggi proprietà di un privato, considerata la parte più importante del sistema di difesa veneto ed il cui scopo era quello di proteggere la fuga della popolazione.
Tutti i 14 baluardi e le due piattaforme sono stati preservati sino ad oggi, mentre delle 32 garitte, solo una è ancora esistente. Due polveriere e cento bocche per armi da fuoco completavano il complesso militare.
Dall'oblìo all'UNESCO
Nonostante gli sforzi economici e logistici profusi per completare le mura, queste non vennero mai utilizzate perché rese inutili dalla superiorità tecnica dell’artiglieria.
La fine della Repubblica di Venezia, avvenuta col Trattato di Campoformio del 1797, portò Bergamo a confluire nella neonata Repubblica Cisalpina inaugurando un lungo periodo di trascuratezza; tra il 1976 e il 1984 le mura furono oggetto di lunghi e laboriosi lavori di restauro e nel 2007 il Comune di Bergamo si è posto a capofila nella cordata di città per iscrivere le mura venete nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, progetto portato a compimento il 9 luglio 2017 con l’ufficializzazione dell’ingresso delle “Opere di Difesa Veneziane tra XVI e XVII secolo. Stato de Terra- Stato de Mar” da parte dell’organismo delle Nazioni Unite.