Amal Alamuddin finalmente dimostra di essere ben più che semplicemente la moglie del finora scapolo impenitente George Clooney, cioè un brillante avvocato. Il suo primo grande caso da quando è Mrs. Clooney riguarda un evento tragico ma dimenticato della storia mondiale: il genocidio armeno del 1915-1916. Un cittadino turco, come d'altronde l'intero popolo turco, nega che vi sia stato un vero e proprio genocidio nei confronti degli armeni, popolazione cristiana che sin dal VII secolo a. C. ha vissuto la dominanza di Parti, Medi, Persiani, Macedoni e Ottomani.

La loro storia è appunto costellata di rivalse e ingiustizie, ritorsioni e inferiorità, da ogni punto di vista: è entrata, purtroppo, nella storia, l'orrenda battuta che Adolf Hitler pronunciò nel 1939 riguardo alla questione ebraica: "Chi oggi si ricorda degli armeni?". I turchi hanno fatto del loro meglio per nascondere la morte, avvenuta nelle terribili marce della morte, di circa 2 milioni di persone. Eppure, luoghi come il Mussa Dagh, nomi di carnefici come dottor Nazim, Enver, Talat e Cemal Paça, fino all'eroico tedesco Armin T. Wegner, che fotografò e testimoniò l'intero massacro che, oltrepassando ogni tipo di divieto, riuscì ad osservare da vicino, non possono e non devono essere scordati.

Certo, gli armeni non se ne sono mai dimenticati e combattono tuttora affinché il mondo riconosca che, accanto agli Ebrei e ai Tutsi (anzi, cronologicamente è stato il primo genocidio del '900 propriamente detto), anche loro hanno sofferto le stesse, terribili, disumane atrocità. Davanti alla Corte riunita per discutere e giudicare il caso, si sono posti oltre 200 armeni.

Tale giudizio deve essere una resa dei conti non tanto, e non solo, con quest'uomo che siede in tribunale, bensì una presa di coscienza dell'ennesimo tremendo atto di violenza dell'uomo contro se stesso; in altre parole, un altro corso e ricorso della Storia.

Il Giorno della Memoria non dovrebbe limitarsi alla trasmissione di film, fiction e documentari sull'argomento o alla pubblicazione in massa di libri perlopiù inventati e che mirano più a strappare le lacrime con bambini coraggiosi che a riportare un fatto storicamente avvenuto, ma dovrebbe essere dentro di noi, o meglio nella nostra anima e nel nostro lato più umano.

Quotidianamente ci viene chiesta una presa di posizione circa massacri e guerre che si svolgono lontano dalle nostre case, eppure sotto i nostri occhi che fissano il televisore e tutti gli schermi della nostra vita: dall'Africa al Medio Oriente, fino alle nostre coste o nelle nostre strade di città. Ieri le vittime sono stati gli ebrei, gli omosessuali, i dissidenti politici, i disabili e gli zingari, oggi i tibetani, i palestinesi, gli emarginati di ogni genere.

E non si deve trattare di una questione religiosa, dal momento che l'Islam è sempre al centro delle polemiche: se alcuni hanno visto nel genocidio armeno un jihad, oggi è il caso di Charlie Hebdo a far discutere di più. La vera questione non è chi siano le vittime e chi i carnefici, perché di giorno in giorno cambiano volto, luogo, lingua, ideali, ma quale diritto sia dato all'uomo perché questo accada.

Se viene citato Darwin, come di solito capita, si può benissimo controbattere che gli animali non fanno ciò che l'uomo ha fatto in tutti questi secoli in cui è la specie dominante. Lo fanno le bestie, che purtroppo non vengono mai a mancare.