Succede spesso che la mafia, quando non riesce a sopraffare lo Stato, continui a pretenderne i soldi. Ma i giudici ormai lo sanno alla perfezione e, da quando con il decreto del 2002 è stato istituito il gratuito patrocinio, ci hanno fatto l'abitudine. Il mese scorso sono entrate in vigore altre norme per compensare i debiti fiscali degli avvocati che difendono gli imputati a spese dello Stato.

La richiesta di una difesa gratuita è avvenuta nel corso di un'udienza al Tribunale di sorveglianza per un boss siciliano in carcere a Novara. Nella città tra Piemonte e Lombardia, da domani sarà in carica il nuovo Procuratore della Repubblica, Marilinda Mineccia, e la richiesta di patrocinio gratuito è giunta al suo nuovo ufficio dal boss Alessio A.

Il primo presidente degli "ermellini" - così chiamati per la striscia di pelliccia che hanno sulla toga - Giovanni Canzio, gli ha risposto picche.

Il gratuito patrocinio

Il principio su cui si basa questa possibilità è che ogni imputato abbia diritto alla difesa in ogni grado del procedimento. Tuttavia bisogna dimostrare di avere un reddito inferiore ai 10mila euro, e di solito i boss navigano nell'oro.

Il paradosso è che molte volte le parti lese, ad esempio una prostituta, non riescano a documentare i loro guadagni e allora non possono avere un difensore. Un legale d'ufficio deve essere iscritto all'elenco del Consiglio dell'Ordine, ma il suo onorario, comprensivo delle altre spese, non può risultare superiore ai 100mila euro.

Nei maxi processi contro i mafiosi, può capitare che qualche imputato risulti in bolletta. Però si deve tenere conto che la polizia giudiziaria di solito confisca, in fase di indagine, i proventi delle attività illecite quali traffico, droga, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione, in base alle misure di prevenzione.

A questo punto, prima che lo Stato metta a disposizione un avvocato, viene incaricata la Guardia di Finanza di consultare il professionista che amministra i beni confiscati.

La questione si era posta per la prima volta più di vent'anni fa, durante il processo Cartagine contro Salvatore Belfiore, fratello del boss che uccise Bruno Caccia.

Le pretese della 'ndrangheta

Questa richiesta potrebbe essere avanzata anche da Rocco Schirripa, che sarà processato per lo stesso omicidio davanti alla Corte di Assise di Milano. In 30 anni di latitanza, l'uomo si è coperto facendo il panettiere, riuscendo ad accumulare una certa rendita. Il suo negozio si trovava a Torino, in borgata Parella, centrale degli 'ndranghetisti che hanno regnato in città negli anni '80. Altro loro punto di ritrovo erano i bar di Porta Palazzo: gli omicidi del clan Belfiore sono stati organizzati proprio in quella zona.

Lo sapevano bene i pm che hanno sostenuto l'accusa al processo Cartagine, nel corso del quale gli imputati sono stati chiamati a rispondere di circa ottanta assassinii.

Il giudice di quel maxi processo nell'aula bunker delle Vallette era esperto sia di misure di prevenzione che di gratuito patrocinio.

La Corte non aveva concesso alcuna difesa gratuita, anche perché il boss aveva già un avvocato affidatogli in precedenza. Sasà Belfiore è stato condannato all'ergastolo, ma il giudice si è complimentato con l'avvocato per come lo ha difeso.

Nel caso del Tribunale di Sorveglianza di Novara, la Suprema Corte si è pronunciata negativamente perché, 3 anni fa, un collaboratore di giustizia aveva rivelato alla Procura di Catania che le cosche mantenevano la famiglia di Alessio A. in Sicilia. La condanna nei confronti di quest'ultimo è definitiva ma, nonostante ciò, sperava di non dover spendere altro denaro, dopo aver presentato, lo scorso marzo, la domanda per ottenere dallo Stato la difesa gratis.