Se, come in altri paesi europei, il codice di procedura penale italiano fosse meno garantista, i figli del procuratore, Bruno Caccia, non chiederebbero giustizia.

Dal 1990 la procedura in vigore nei tribunali italiani è di impianto accusatorio e non più inquisitorio,

E' stato un assist, come quello di Mertens per Callejon nel derby del Sud, Crotone-Napoli, a favore della difesa degli imputati che ha armi più affilate.

Rocco Schirripa, il panettiere arrestato dalla Dda come esecutore materiale dell’assassinio, nell’estate 1983.

Erano gli anni in cui la 'ndrangheta spadroneggiava a Torino, spodestata la mafia catanese.

"Uccidiamo Caccia"

Per gli inquirenti fu decisivo il diktat del boss Domenico Belfiore, già condannato all’ergastolo per questo omicidio e molto altro, dopo la strage all’Arci di Chivasso.

“Perché perdiamo tempo a far fuori brava gente che gioca a carte e non ci leviamo di mezzo il giudice Caccia?" avrebbe chiesto. Lo fecero e fu l'inizio della fine della ’ndrangheta a Torino che salì in cima all'agenda dell’antimafia.

Uno degli uomini di punta del pool era Marcello Tatangelo, ora alla Procura di Milano. Si occupò fin da subito di infiltrazioni mafiose e dei relativi omicidi.

Non poteva esimersi dalle indagini sui killer di Caccia, maestro dei suoi capi Marcello Maddalena e Maurizio Laudi. Le indagini erano condotte dalla Procura di Milano, in quanto la vittima era a capo degli uffici giudiziari di Torino.

Da sempre sotto scorta, Tatò come chiamano il pm Tatangelo i malavitosi, non ha mai smesso di indagare. E ce l'ha fatta, incastrando il panettiere con un'indagine high tech, spargendo virus sui tablet per intercettare Schirripa, sua moglie e Domenico Belfiore, in ospedale per problemi cardiaci.

Ma il processo in Corte d'Assise si era subito arenato a causa di un errore della Procura di Milano che non aveva chiesto l'autorizzazione del capo dei Gip per riaprire l'inchiesta, archiviata come quella sulla nave dei veleni.

Gli inquirenti milanesi non erano a conoscenza della precedente archiviazione per insufficienza di prove. Lo avevano fatto notare i difensori del panettiere, Basiglio Foti e Mauro Anetrini. Se n'era rammaricato l'avvocato dei figli di Bruno Caccia,.

I figli delle vittime

Marcello Tatatangelo non è il tipo che demorde e ha fatto in modo che Schirripa rimanesse in carcere.

Lo ha deciso ii gip di Milano Stefania Pepe, perché rimane alto il pericolo di fuga del mafioso che, come ogni membro di un clan, dispone di solidi appoggi per fuggire all'estero.

La minore delle figlie del magistrato freddato sotto casa da 3 uomini, si dimostra fiduciosa: "Mio padre credeva ed è morto per la giustizia, bisogna avere fiducia". "In ogni caso" - ha aggiunto - "Questi sono stati giorni molto pesanti per tutta la famiglia, siamo stati messi ancora a dura prova".

Ora con la sorella più grande, giornalista e il fratello maggiore, imprenditore, ripongono speranza nel nuovo processo di fronte a un'altra sezione della Corte d'Assise, perché l'impianto accusatorio contro i presunti assassini del padre è granitico.

Di solito nei più effferati omicidi, come per esempio quello del docente e avvocato Alberto Musy, per cui è stato condannato all'ergastolo Francesco Furchì, i figli (Musy ne aveva 3 in tenera età) sono i più bisognosi di giustizia.

Nei due processi le parti civili sostenute con passione, rispettivamente dagli avvocati Giampaolo Zancan e Fabio Repici, si sono battute perché oltre che con il carcere, i killer pagassero ingenti somme di denaro in risarcimento a loro.