Dopo l'assoluzione ottenuta nel processo sulla morte di Meredith Kercher, Raffaele Sollecito sperava certamente di poter ottenere il risarcimento per ingiusta detenzione: 516.000 euro che avrebbero coperto alcuni dei debiti che la sua famiglia ha dovuto contrarre in questi anni di tira e molla con la giustizia. La Corte d'appello di Firenze ha rigettato la richiesta, ritenendo contraddittorie le dichiarazioni di Sollecito nelle prime fasi dell'indagine.

Sollecito artefice del proprio destino giudiziario

Proprio così: per i giudici il giovane avrebbe concorso attivamente, non è stabilito se con dolo o meno, ad alimentare i sospetti sulle sue reali responsabilità nell'omicidio della studentessa inglese.

Una condotta differente, si legge nell'ordinanza di rigetto dell'istanza, avrebbe prodotto un differente convincimento e un diverso destino giudiziario per Sollecito. La misura cautelare in carcere fu disposta proprio per la convinzione che il ragazzo avesse un ruolo materiale nell'esecuzione del delitto. Per la Corte non sussistono, dunque, i presupposti per l'accoglimento della richiesta avanzata dal ragazzo, in quanto la pena detentiva deriva dal comportamento di Sollecito, piuttosto che da un errore giudiziario.

Annunciato il ricorso in Cassazione

Dopo la notifica del provvedimento, le reazioni non si sono fatte attendere. Dalla sua pagina Facebook, Raffaele Sollecito ha manifestato il suo disappunto: "Credevo di aver vissuto le pagine più nere della Giustizia italiana, ma nonostante la Cassazione mi ha dichiarato innocente, devo prendere atto che la mia durissima detenzione sarebbe giustificata".

Immediata la replica dell'avvocato Giulia Bongiorno, che ha annunciato il ricorso in Cassazione, motivato da una "moltitudine" di errori già rilevati nel provvedimento. Quest'ultimo contiene però un'importante motivazione che ha portato la Corte al rigetto, così come si legge nel testo dell'ordinanza: "Deve quindi concludersi che esiste la causa ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione (...) perchè l'istante stesso, con le condotte sopra descritte, ha con dolo o colpa grave concorso a indurre i vari giudici dapprima ad emettere e poi a mantenere una misura cautelare detentiva a suo carico".