Anche in Italia è il giorno diThe Program, il film di Stephen Frears che per primo racconta la vicenda, sportiva e non, del fenomeno Lance Armstrong, il ciclista statunitense che, tornato in sella dopo essere sopravvissuto a un tumore, ebbe una trasformazione straordinaria tanto da vincere sette Tour de France. Solo dopo il suo ritiro venne appurato che dietro la sua esplosione sportiva e le sue vittorie c'era il più grande sistema-doping mai scoperto in ambito sportivo.Ad interpretare “il texano dagli occhi di ghiaccio” è un credibilissimo Ben Foster, che per questo ruolo non si è limitato a prendere confidenza con la bici da corsa, ma ha dichiarato di aver provato su di sé gli effetti del doping.

La pellicola ripercorre la storia di Armstrong dagli inizi, corridore non ancora affermato, passando per il tumore e il ritorno alle corse, coinciso con la frequentazione del dott. Michele Ferrari, un medico di Ferrara conosciuto nel mondo del ciclismo come “Il Mito". Lance Armstrong si rivolge a lui dicendosi disponibile a seguire “il programma” che Ferrari gli avrebbe proposto. Il medico sviluppa così un piano di allenamento capace di sfruttareal massimo il potenziale straordinario del corridore, abbinandolo alla somministrazione sistematica di sostanze dopanti. Grazie al dosaggio e alle emotrasfusioni praticate dal medico, i controlli antidoping non rilevano le sostanze proibite del “programma” che Armstrong estende a tutta la sua squadra, la U.S.

Postal (poi Discovery Channel), con cuivince sette Tour de France di fila, dal '99 al 2005. Il muro di omertà si incrina quando Filippo Simeoni, corridore seguito da Ferrari, confessa la frequentazione e le pratiche del “Mito”. Al Tour 2005 Armstrong per più volte impedisce a Simeoni di entrare in unafuga innocua per la classifica generale, umiliandolo platealmente, semplicemente per punire chi aveva osato mettersi contro la sua onnipotenza.

Dopo il suo ritiro (interrotto dal ritorno alle corse tra il 2009 e il 2010), pian piano i suoi ex-gregari cominciano a confessare, finché l'inganno viene svelato grazie lavoro di David Walsh, giornalista del The Guardian che si adopera per far crollare l'inganno.

Le due facce di una leggenda

Il film viaggia su due livelli, come del resto erano due le facce del fenomeno Armstrong (Campione, icona, bugiardo, recita il trailer): la storia sportiva e il retroscena fraudolento.La storia sportiva lascerà gli appassionati soddisfatti a metà: nonostante la prospettiva accattivante e l'ottima fotografia con cui vengono rese le corse, spariscono dalla scena tutti gli avversari di quegli anni, che fanno parte a pieno titolo della storia del ciclismo (in primis Marco Pantani, ma anche Jan Ullrich, l'avversario maggiore del texano lungo i sette Tour) per concentrarsi sulla storia personale del campione sopravvissuto al cancro: nemmeno ci si sofferma sul Mondiale vinto nel 1993 a Oslo, prima della malattia.

La descrizione del sistema-Armstrong, come negli intenti del regista, è invece - già dal titolo - la parte portante del film, ma come dichiarato nei titoli di coda deve attenersi a quanto riportato nel protocollo USADA (l'agenzia statunitense antidoping che ha inchiodato Armstrong) sulla vicenda: la sceneggiatura evita accuratamente di menzionare questioni ancora non risolte, come la connivenza dell'Unione Ciclistica Internazionale (i cui vertici di allora sono accusati di aver coperto dietro tangente alcune positività di Armstrong che vennero comunque rilevate dai test).Entrambi i piani di sviluppo contribuiscono, grazie all'abilità del regista, non nuovo al genere autobiografico (The Queen), a descrivere in modo efficace cosa sia stato Armstrong per il mondo del ciclismo: un uomo straordinario per doti fisiche e volontà, che ha voluto andare oltre i propri limiti portando uno sport eurocentrico a conquistare nuovi mercati a livello mondiale, per poi crollare sopraffatto dal mito creato da lui stesso.