Ci mancava l’umanista Davide Vargas, questo scrittore-architetto aversano ma radicato nelle sovrapposizioni partenopee. Ora che Pironti ha dato alle stampe “L’altra città, guida sentimentale di Napoli (pagg.157, euro 12)” che conclude quella trilogia dei “luoghi parlanti” che aveva visto pubblicare “Racconti di architettura (2012)” e “Racconti di qui (2009)” , possiamo approfittarne per rileggerlo e ritrovare quello che ci aveva stupito alla prima lettura: la capacità di andare oltre, attraverso il racconto di un progetto grafico o di un monumento, utilizzando la narrazione poetica.
Ora nell’ultimo testo – una serie di racconti che descrivono monumenti simbolo della Città come l’Accademia delle Belle Arti, Il cimitero di Poggioreale, l’Albergo dei poveri o i grafiti di Bansky – Vargas tenta la quadratura del cerchio della napoletanità. Quella napoletanità oggi tanto variamente declinata che è il vero oro della città dai Greci ai nostri giorni confusi.
Già dalla concezione dell’edificio come prolungamento pubblico ed umano della Città – la descrizione della Carlesca Accademia delle Belle Arti, con la gipsoteca e la Sala Palizzi, ne è un esempio lampante – lo scrittore assevera il suo metodo delle trame che svelano il senso. Ma questa stratificazione che dà spazio alle nuove trame dell’oggi può essere colta solo da chi ha “occhi letterari per vedere”.
Perché solo “la trama complessa che si svolge restituisce il significato”. Mimì Rea – nostro nume tutelare – parlò delle due Napoli che si contendevano la prima visione de la città obliqua. Per Vargas invece è il viaggio - il non essere mai andato, o il rivedere misto alle nostalgie del ritornare per riconoscere, ciò che si è perso - che svela una città (Napoli) che seppure nasca (anche) dall’esperienza sensibile, è “solo dentro di noi”.
Sfilano le congruenze di Vargas come le restituzioni di dignità umane di un Ferdinando Fuga, che non a caso progettò e realizzò sia l’Accademia delle Belle Arti, che il Cimitero delle 366 fosse, che la facciata della Chiesa dei Girolamini. “Eppoi muri intonacati. Quelli che mi affascinano di più (…) , ma i colori vengono sempre dalla trama di questa città (…) , la stratificazione ha una forza magica”. E diremmo noi con Pennac: “la stratificazione è una forma di identità”. Ma qual è l’identità di Napoli? Napoli è una città scritta che accoglie sempre altre parole.