Nel pacchetto previdenziale in Legge di Bilancio che ha iniziato l’iter parlamentare essendo arrivata alla Camera, introdurrà dal 1° maggio 2017 l’APE nel sistema pensionistico nostrano. L’APE, che di fatto è una pensione erogata in prestito ai lavoratori fino a quando non raggiungeranno i requisiti necessari per la loro vera pensione di vecchiaia, prevede una serie di oneri per i pensionati. Infatti saranno loro a dover restituire alla banca i soldi percepiti mese per mese come pensione anticipata. Il Governo però ha pensato di agevolare alcune categorie di soggetti assicurandogli la copertura del debito dovuto all’anticipo, cioè sarà lo Stato a pagare le rate del debito contratto.
Tra questi i disoccupati, che però devono rispettare determinati requisiti per essere considerati meritevoli di questa tutela.
Una via di mezzo tra un ammortizzatore sociale ed una pensione
L’APE, così come è stata disegnata in Legge di Bilancio consente di uscire dal lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo rispetto alle attuali regole fissate dalla vecchia riforma Fornero, cioè a partire dai 63 anni. Il lavoratore che decide di uscire in anticipo, percepirà la pensione calcolata sui contributi versati alla data di richiesta dell’APE, per 12 mesi. Più in anticipo si esce, maggiore il debito che si contrae con una banca, che finanzierà le 12 mensilità che al pensionato arriveranno tramite l’Inps come una normale pensione.
Quando il pensionato raggiungerà i 66 anni e 7 mesi che danno diritto alla pensione normale, dovrà restituire quanto percepito negli anni di anticipo, con trattenute mensili sulla pensione e per la durata di 20 anni.
Tutto questo però non sarà a carico dei lavoratori che beneficeranno dell’APE social, cioè disoccupati, disabili o con disabili a carico e lavoratori impegnati in attività logoranti.
Per questi, sarà lo Stato a pagare la rata di debito nei 20 anni previsti, grazie a detrazioni ed agevolazioni fiscali cui saranno beneficiari questi soggetti. L’APE social altro non è che un grande ammortizzatore sociale, una specie di grande prestazione assistenziale che aiuterà soggetti in evidente difficoltà reddituale nei 3 anni e 7 mesi che mancano alla loro quiescenza.
A conferma di questo carattere assistenziale della APE agevolata, il trattamento dei disoccupati, che sono una delle categorie coperte da questa misura.
Regole simili alla Naspi
Uno dei dubbi maggiori che hanno accompagnato l’APE social era relativo allo stato di disoccupazione. Inizialmente sembrava una misura destinata a disoccupati di lunga data, definizione però che non fugava le perplessità della maggior parte di soggetti senza lavoro. Nella bozza di Legge di Bilancio, sembra che la situazione venga chiarita meglio. Innanzi tutto, come per i sussidi di disoccupazione INPS, come la Naspi, lo stato di disoccupazione deve essere involontario, cioè non ci si può licenziare per entrare nell’orbita della APE social.
Come per la NASPI, la perdita di lavoro deve provenire da un licenziamento individuale, a seguito di una procedura di licenziamento collettiva, da una conciliazione con aziende da più di 15 dipendenti o da dimissioni per giusta causa.
Il disoccupato deve aver finito di percepire completamente gli ammortizzatori sociali tipici del suo stato di disoccupazione, quindi Naspi, ASDI, mobilità e così via. Proprio quest’ultimo fattore è molto importante perché bisogna essere senza tutele, quindi senza ammortizzatori da almeno 3 mesi prima di poter presentare richiesta di APE. Ulteriore requisito è quello dei 30 anni di contribuzione previdenziale versata, cioè 10 anni in più dell’APE nella versione normale, quella volontaria. Per il raggiungimento di questo requisito, sembra che saranno ritenuti validi anche i contributi figurativi per i periodi di copertura da ammortizzatori sociali di cui parlavamo prima.