L'importante scoperta medica, tutta italiana, è stata pubblicata su Nature Communications, rivista che si occupa principalmente di ricerche in ambito biologico e chimico. Non che si sia arrivati (purtroppo) a trovare una cura definitiva e comprovata alla malattia di alzheimer, che resta bestia nera per la medicina del ventesimo secolo. Tuttavia, i progressi che si stanno compiendo in tale ambito sono notevoli. Un gruppo di ricercatori italiani appartenenti all'Università Campus Bio-Medico, in collaborazione con il Centro Nazionale delle Ricerche e Fondazione Irccs Santa Lucia e con l'Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Cnr, ha raggiunto un importante traguardo nello sviluppo della ricerca in tal senso.

L'origine della malattia

Secondo quanto riferito dagli scienziati, coordinati da Marcello D'Amelio, docente di fisiologia umana e neurofisiologia, la responsabilità dello sviluppo del morbo di Alzheimer non andrebbe ricercata all'interno dell'ippocampo, struttura del sistema nervoso coinvolta nel processo della memoria. L'origine della malattia, infatti, va individuata nella morte dei neuroni dell'area collegata ai disturbi dell'umore. La ricerca italiana suggerisce dunque che il principio dell'insorgenza del male non va ricercato nella degenerazione delle cellule dell'ippocampo, la regione cerebrale responsabile della nascita dei ricordi. Bensì, gli sforzi vanno concentrati nell'area tegmentale ventrale, dove viene per l'appunto prodotta la dopamina, neurotrasmettitore collegato ai disturbi dell'umore.

La morte dei neuroni che hanno la funzione di produrre la dopamina, in sintesi, porta a una conseguente riduzione del livello di funzionalità di questo messaggero nervoso dell'ippocampo, portandolo a uno stato confusionale che determinerà la progressiva perdita dei ricordi.

La scoperta

L'importante scoperta è stata possibile grazie a dei test effettuati su dei topolini da laboratorio.

Ripristinando il livello di dopamina attraverso due specifiche terapie (una basata su un amminoacido precursore della dopamina, l'altra su un farmaco che ne inibisce la degradazione), i ricercatori hanno osservato che esiste la possibilità di recuperare la capacità di ricordare. Nel corso del test è stato possibile registrare il completo ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità.

Questo studio apre a nuovi, importanti scenari. Il prossimo passo, come riferito da D'Amelio, dovrà esser quello di mettere a punto tecniche neuro-radiologiche più efficaci, per poter approfondire quanto più possibile la conoscenza dell'area tegmentale ventrale, all'origine della degenerazione.