Ricercatori della Columbia University e del Taub Institute di New York, in occasione di un recente meeting sull’alzheimer, hanno presentato i risultati di uno studio basato su un questionario, inviato a 330 anziani, e su un modello statistico e, attraverso il dosaggio ematico di specifici marcatori infiammatori (PCR e IL-6), hanno stabilito l’esistenza di una relazione tra dieta e demenza. I soggetti che avevano una dieta povera di alcuni elementi come gli omega 3, il calcio, e alcune vitamine come la E, la D, la B2 e la B5, avevano una ridotta materia grigia nel cervello e questo è stato associato a peggiori funzioni cognitive visivo-spaziali.
Un modello di nutrienti pro-infiammatori
Lo studio presentato al più importante meeting mondiale sulla demenza - l’Alzheimer's Association International Conference (AAIC) a Londra la settimana scorsa - coordinato da Yian Gu, della Columbia University, in collaborazione con il Taub Institute for Research on Alzheimer's Disease and the Aging Brain di New York, è basato su un’indagine che ha coinvolto 330 anziani del Washington Heights-Inwood Community Aging Project. Questi soggetti sono stati sottoposti a risonanza magnetica e al dosaggio dei livelli ematici di due importanti biomarcatori pro-infiammatori, PCR (Proteina C reattiva) e IL-6 (Interleuchina 6), correlati ad un parametro detto INP (inflammation-related nutrient pattern).
Attraverso un modello statistico, i ricercatori hanno cercato l’esistenza di una correlazione tra dieta e fattori pro-infiammatori. Hanno così scoperto che i soggetti che avevano nella loro dieta una limitata assunzione di nutrienti come gli omega 3, il calcio e alcune vitamine, come la E, la D, la B2 e la B5, avevano un INP più alto e quindi livelli più elevati di PCR e di IL6, biomarcatori che normalmente aumentano nei pazienti con Alzheimer e nelle varie forme di demenza senile.
Livelli elevati di INP erano associati ad un volume inferiore di materia grigia cerebrale che si traduceva in una peggiore condizione dello stato cognitivo visivo-spaziale, del linguaggio, della memoria e della rapidità con cui venivano svolte delle attività. Come è emerso dai test neuropsicologici a cui questi soggetti sono stati sottoposti.
Da questo studio è inoltre emerso che soggetti meno istruiti, gli afro-americani e gli ispanici avevano normalmente INP più elevati e condizioni cerebrali peggiori, rispetto ai bianchi. Questi risultati sono stati ovviamente corretti tenendo conto di tutte le possibili variabili, come razza, età, sesso, condizioni generali del soggetto. E le conclusioni dei ricercatori sono stati che un maggior consumo di nutrienti infiammatori porta ad un peggioramento delle condizioni della materia grigia e possono favorire l’insorgenza di forme di demenza senile come l’Alzheimer.
Ancora una volta la risposta è la dieta mediterranea
L’indice INP si basa sulla combinazione di 24 nutrienti, ognuno con un differente peso su questo valore.
Ad esempio, una dieta ricca di nutrienti come gli omega-3 fa ridurre la INP mentre una dieta con limitata presenza di omega-3 ne aumenta il valore.
Gli autori dello studio hanno individuato nel pesce, nella frutta con guscio (noci, mandorle, noccioline, ecc.), oltre a frutta e verdura ricchi di vitamine – tutti alimenti tipici della dieta mediterranea – i migliori nutrienti per ridurre al minimo il fattore INP e quindi i rischi di arrivare alla malattia di Alzheimer (AD) oltre ad assicurare, negli anziani, la condizione migliore per la Salute del cervello.
Al contrario, come anche altri studi hanno già dimostrato, nutrienti che inducono uno stato infiammatorio cronico (zuccheri, grassi saturi, alcol, sale), che fanno aumentare l’INP, aumentano i livelli plasmatici della PCR (Proteina C reattiva) e dell’IL-6 (Interleuchina 6) portando ad una riduzione del volume del cervello e all’insorgenza di varie forme di demenza senile.
Nei Paesi occidentali il 5-6% della popolazione over-65enne soffre di problemi di questo tipo. Si stima che in Italia sono circa 1 milione i casi di anziani colpite da importante patologie neurologiche, con un impatto su circa 3 milioni di familiari impegnati nell’assistenza.
La ricerca va avanti e nuovi farmaci sono oggi a disposizione contro l'Alzheimer. Ma immaginare che basta una dieta equilibrata per ridurre significativamente questi numeri è molto importante.