Ne abbiamo già parlato su questo giornale, il problema della resistenza agli antibiotici sta preoccupando le autorità sanitarie mondiali; l’OMS ha lanciato molteplici appelli, alla classe medica per una prescrizione più mirata degli antibiotici, agli allevatori di moderarne l’uso o eliminarli del tutto negli allevamenti, e alle aziende farmaceutiche per investire in ricerca per lo sviluppo di nuovi antibiotici. Ci sono già i primi segnali, con un numero crescente di nuovi antibiotici in sviluppo. In Australia alcuni ricercatori hanno pensato di manipolare chimicamente la struttura dei vecchi antibiotici per farne dei nuovi più efficaci.

Una nuova vancomicina

La vancomicina è un antibiotico a struttura glicopeptidica (cioè contiene sia zuccheri che amminoacidi) prodotto da un batterio gram-positivo, lo Streptomyces orientalis. Largamente usato in clinica, per contrastare infezioni da stafilococchi resistenti ad altri antibiotici come la meticillina e le penicilline in generale o le cefalosporine. Trova impiego negli interventi chirurgici, endocarditi, polmoniti, ascessi.

Ora, dopo molti anni, il suo uso clinico risulta compromesso a causa dello sviluppo di numerosi batteri resistenti. E’ quindi iniziata una corsa verso lo sviluppo di nuovi antibiotici in quanto il problema non è limitato alla vancomicina ma interessa tantissimi antibiotici di uso corrente.

Alcuni ricercatori dell’Istituto di Scienze biomolecolari dell’Università del Queensland, in Australia, hanno pensato di modificare chimicamente la struttura della vancomicina al fine di renderla nuovamente attiva, anche su alcuni batteri – comunemente definiti superbatteri – resistenti a vari antibiotici e per questo molto pericolosi per la salute pubblica.

In pratica i ricercatori hanno studiato la natura chimica della membrana dei batteri ed hanno individuato dei residui chimici dotati di una elevata affinità per questa membrana a fronte di una scarsa affinità per le altre membrane. Hanno inserito quindi queste strutture nella parte C-terminale della molecola della vancomicina generando una nuova classe di antibiotici, a struttura “lipoglicopeptidica”, chiamata vancapticine.

Le vancapticine sono risultate attive in ceppi di batteri Staphylococcus aureus e a altri batteri gram-positivi, resistenti alla meticillina, penicilline e cefalosporine. Questo concetto di “membrana-targeting” ha suscitato un notevole interesse nella comunità scientifica internazionale e il lavoro è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communication, primo autore Mark A.T. Blaskovich.

Il problema dell’antibiotico resistenza

Ogni anno, in tutto il mondo, 700mila persone muoiono a causa di infezioni non più controllabili dagli antibiotici tradizionali a causa del fenomeno della resistenza. Un’emergenza planetaria che sta preoccupando i sistemi sanitari di tutto il mondo e la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Se questo fenomeno dovesse proseguire senza trovare intanto delle soluzioni efficaci, alcune proiezioni stimano che entro il 2050 ci saranno 10milioni di morti a causa di “banali” infezioni batteriche.

Questo spiega l’enorme interesse che suscita ogni progresso in questo campo. L’efficacia di queste prime vancapticine è stata valutata in modelli animali dove hanno mostrato tutto il loro potenziale. A breve potrebbe iniziare la sperimentazione clinica che, in base ai risultati di laboratorio, nell’uomo potrebbe assicurare una efficacia azione terapeutica con una sola somministrazione al giorno.

Nulla esclude il fatto che se il principio applicato nel passaggio vancomicina-vancapticina fosse applicabile anche su altre classi di antibiotici, allora si potrebbe immaginare che l’introduzione di un opportuno residuo lipidico sulla molecola di altri antibiotici, divenuti ormai poco efficaci a causa della resistenza, potrebbe ridargli una nuova vita generando nuove generazioni di antibiotici, più potente dei corrispondenti capostipiti.