Greenpeace lancia con forza l'allarme. Edison Spa sta per dare il via a delle ricerche di nuovi giacimenti di petrolio nel Mar Ionio - al largo della costa pugliese, nelle vicinanze di Santa Maria di Leuca - che potrebbero recare gravi danni all’Ambiente. In un dettagliato briefing datato 8 maggio, in cui l'iniziativa di Edison viene definita “un altro assalto degli air gun al nostro mare”, l'organizzazione non governativa ambientalista identifica due criticità dell’intervento che sta per intraprendere la società milanese: le specificità ambientali dell’area in cui avverranno le ricerche di petrolio e il metodo invasivo utilizzato per le medesime.
Le ricerche in un'area classificata di particolare interesse per la salvaguardia dell’ecosistema marino
In particolare, l’area di interesse di Edison, che agisce nella zona munita di regolare Permesso di Ricerca di Idrocarburi, è classificata secondo la Convenzione sulla Biodiversità (Convention on Biological Diversity - CBD), come ‘Ecologically or Biologically Significant Marine Areas’ (ESBA): ciò significa che è un'area di particolare interesse per la salvaguardia dell’ecosistema marino, mentre il metodo di ricerca che verrà utilizzato è il cosiddetto ‘air gun’, una tecnica per l'ispezione geofisica dei fondali marini che si avvale di un dispositivo che spara aria compressa in acqua producendo onde che si propagano nel fondale.
“L’ennesima richiesta di prospezione con air gun presentata da Edison prevede il solito bombardamento a tappeto sui fondali dei nostri mari, questa volta al largo di Santa Maria di Leuca”, scrivono gli attivisti. “Gli air gun generano esplosioni (con aria compressa) con onde d’urto che colpiscono il fondale”, spiega ancora Greenpeace, aggiungendo che “al solito, il proponente, nello Studio di Impatto Ambientale (SIA) presentato al Ministro dell’Ambiente per ottenere il nulla osta a procedere, considera trascurabili gli effetti di questa attività.”
A rischio differenti specie marine
Secondo gli attivisti di Greenpeace, gli effetti delle esplosioni dovute alla tecnica di ricerca mettono invece particolarmente a rischio differenti specie marine come tonni, la tartaruga caretta, la mobula, il pesce spada, oltre a comunità di coralli di profondità e aggregati di spugne, che rappresentano importanti serbatoi di biodiversità e contribuiscono al riciclaggio di materia organica.
Anche gli squali sono specie comuni in quest’area. “Quello che è paradossale, insieme all’oltraggio che si vuol fare a questi fondali”, conclude Greenpeace, “è l’idea che questa richiesta verrà valutata senza considerare (nel caso si dovesse trovare qualche deposito di idrocarburi) se trivellare questi fondali avrà o meno qualche controindicazione.”