Avrebbe scaraventato a terra il suo bambino, sostenendo in un primo momento la tesi di un tragico incidente, salvo poi ammettere la responsabilità della propria azione, dovuta ad un momentaneo “annebbiamento del cervello”. La ventiseienne catanese, neomamma da appena tre mesi, ha così spiegato agli inquirenti l’episodio che, lo scorso 14 novembre, l’ha resa protagonista di quel gesto tanto incomprensibile quanto innaturale per una madre, se non inquadrato in un contesto delicato come quello del frequente disagio conseguente al periodo post parto.

La donna si trova attualmente in stato di fermo, in seguito all’interrogatorio del Pubblico Ministero, durante il quale ha ammesso la propria colpa.

‘Non so spiegare perché l’ho ucciso’

“Amavo il mio bambino, non so perché l’ho ucciso”. Disperazione e consapevolezza della gravità di un gesto certamente non premeditato, ma compiuto sotto l’impulso di un momentaneo blackout mentale, nel tentativo di giustificazione addotto dalla giovane madre.

Il neonato, trasportato al Pronto Soccorso dell’ospedale Cannizzaro di Catania in codice rosso il 14 novembre, era stato intubato, e successivamente trasferito nel reparto di Rianimazione della Neonatologia del Garibaldi-Nesima, dove è deceduto il giorno successivo al ricovero, a causa del grave trauma cranico e per le ferite riportate sul corpicino.

La sconvolgente notizia, però, è trapelata solo oggi, quando la donna è stata raggiunta da un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip, su richiesta della Procura, in seguito alla quale la stessa è stata tradotta in carcere dal personale del commissariato Borgo Ognina, con l’accusa di omicidio aggravato.

Fragilità emotiva e disagi familiari

La vicenda, ricostruita per i magistrati dal legale della donna, avvocato Luigi Zinno, ha rivelato uno stato di malessere in cui la giovane mamma verserebbe conseguentemente all’esperienza del parto. Non c’è però solo la fisiologica depressione post parto, spesso sottovalutata da familiari e sanitari, alla base della crisi, ma la condizione mentale sarebbe aggravata dal peso di un’infanzia dolorosa, dovuta principalmente alla morte prematura della madre, scomparsa quando la giovane aveva appena 11 anni.

Inoltre, la ventiseienne non vivrebbe con il padre del bambino, ma con la nonna paterna, oggi ottantacinquenne. Proprio a causa di queste carenze affettive e della fragilità mentale, il padre le aveva procurato e fissato degli incontri con degli specialisti, ai quali si era rifiutata di presentarsi.

La simulazione di un tragico incidente

“Quel giorno si era sentita male”, ha affermato l’avvocato penalista Luigi Zinno, “per questo aveva chiamato suo padre, pregandolo di lasciare il lavoro e correre a casa” e raccontando a lui e alla nonna di come il piccolo le fosse accidentalmente scivolato dalle braccia a causa di una spinta che si era dato da solo, finendo rovinosamente a terra.

Solo adesso, dopo gli accertamenti della Procura di Catania, si apprende invece che la caduta non era stata affatto accidentale, ma provocata dalla stessa donna, in un momento di “annebbiamento mentale”.