Milano, 26 novembre 2013- Viene accolto con un caloroso applauso l'ingresso di Domenico Quirico, inviato de "La Stampa", alla sala Montanelli, sede storica del Corriere della Sera, in via Solferino. Il fisico slanciato e il volto scavato di chi nella sofferenza ha sprofondato le mani, Quirico si appresta a raccontare, intervistato dal Direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, il Male, quello con la M maiuscola, che ha sperimentato sulla propria pelle durante gli interminabili giorni, 152 per l'esattezza, di prigionia in Siria.

Un'esperienza inimmaginabile, la sua, che ci viene trasmessa in 175 pagine di incubi e ricordi, scritte a quattro mani con l'amico, storico e politologo, Pierre Piccinin da Prata.

Essere in due è stata la loro comune ancora di salvezza, racconta Domenico, per non cedere alla voglia di liberarsi dallo sconforto provocato dal vuoto che era ormai la loro nuova vita, "il nostro inferno, la lotta titanica contro il tempo che passa" unito alla paura di essere dimenticati e aggrappati all'ultima parcella di volontà che era un frammento di vetro stretto tra le mani, così tentatore e potenzialmente liberatorio. 

Delusione per il genere umano? Domanda Ferruccio de Bortoli. No. Sconcerto nel trovarsi immerso in un male che è totale e totalizzante.

"C'è sempre la goccia del bene che rende meno denso e nefasto il liquido del male" commenta Quirico che in tutti i luoghi che ha visitato e in tutte le persone che ha incontrato ha sempre trovato uno spiraglio di misericordia, carità e attenzione alle esigenze altrui.

Ovunque, ma non in Siria. Non perchè i siriani siano cattivi, puntualizza, ma poiché in questa terra infetta il bene è un lusso che cittadini, militari, jihadisti, i suoi stessi carcerieri non si possono permettere e il gesto del male diviene l'unico mezzo di sopravvivenza.

L'odio nei confronti di cristiani ed occidentali: si può distinguere tra buoni e cattivi? L'autore parla della rivoluzione siriana come incipit della Primavera Araba, un fenomeno di rivolta civile e generazionale e aggiunge: "Le rivoluzioni sono storie di passioni, i giovani che hanno dato inizio alla rivolta non avevano un progetto da sostituire alla situazione presente".

Una rivoluzione, questa, che è passata però in sordina: la Siria, "colpevole" di essere una delle vene del mondo, è un territorio in cui l'Occidente non vuole rischiare di intervenire, meglio fingere che il movimento non esista, che sia privo di fondamento e di programma politico, lasciando la terra e i suoi abitanti alla mercè di gruppi di potere che tentano di colmare quel vuoto dilaniando tutto ciò che vi sta intorno. I giovani che hanno fatto la rivoluzione ne sono stati derubati, sbeffeggiati da interessi non solo economici tra Europa e grandi dittature, ma anche relativi a politiche migratorie e di contenimento dell'Islam.

Parla a lungo Domenico Quirico, la voce mossa dalla passione che per anni lo ha spinto a partire e rischiare e dal rammarico di dover ammettere a se stesso, prima ancora che al pubblico, che, per quanto raccontare la Siria sia un dovere morale, oggi recarsi in quel luogo equivale a un suicidio. Un Paese che perde la possibilità di raccontarsi entra in un limbo oscuro in cui tutto può accadere, proprio come successe alla Somalia alcuni anni fa.