Si torna a parlare di Rimborsopoli in Basilicata. L'argomento è simile, sebbene di proporzioni più modeste rispetto ad altre realtà regionali, ma certamente deprecabile. Approfittarsi in maniera scorretta in politica sembra essere diventato oramai un costume ricorrente. Quasi sempre nella speranza di farla franca. In verità questo accade grazie al sistema giudiziario obsoleto che vige nel nostro Paese, affidato a lungaggini nelle procedure che non garantisce proprio una difesa opportuna del bene pubblico.

Il più delle volte questi indegni rappresentanti delle istituzioni, seppure scoperti con le mani nel sacco, riescono con vari escamotage a tirarsi fuori dai guai e a riproporsi, in maniera del tutto sfacciata, in sede di successive elezioni.

In terra lucana poi si raggiunge il massimo del singolare culmine di qualcosa che potrebbe definirsi ingenuità del tipo masochista. Sono ben trentadue i rinviati a giudizio nella nota vicenda lucana battezzata Rimborsopoli. Una vicenda squallida per come si è verificata con l'accumulo di scontrini, persino raccattati e prodotti come documentazione di spese rimborsabili da parte di appartenenti al consesso regionale lucano.

Cifre non certo confrontabili con altri colleghi delle regioni italiane, ma che certamente non si possono sottrarre a un giudizio pesante e negativo da parte dell'opinione pubblica. Singolare il quadro dei rinviati a giudizio che, malgrado tutto, hanno ottenuto consenso e fiducia dai cittadini lucani, anche dopo essere stati accusati di aver pescato a piene mani nella marmellata dei fondi pubblici.

Persino in sfere ben più alte e autorevoli nello scenario politico nazionale hanno potuto godere di ampio privilegio.

È pur vero che esiste la presunzione di innocenza e finchè non ci sarà una sentenza di condanna non si può certo dire che abbiano commesso atti illegali. È la solita storia tutta italiana che consente ad una classe palesemente corrotta di vivacchiare nelle istituzioni pubbliche e di continuare nei loro loschi giochi politici.

In altri Paesi è bastato molto meno perché si avesse il pudore e la buona norma di togliere il disturbo in attesa di un giudizio definitivo. Succede che così un ex-presidente del Consiglio regionale, Vito De Filippo possa assurgere al ruolo di sottosegretario di Stato, con il beneplacito del presidente Renzi, malgrado sia annoverato tra i riviati a giudizio.

Così come un ex-assessore, Marcello Pittella anch'egli sotto giudizio, possa ricoprire l'attuale carica di presidente del consiglio regionale lucano e come diversi consiglieri, anch'essi inseriti nella lista dei rinviati a giudizio, possano semplicemente continuare a far parte del consiglio regionale lucano.

A sentirli tutti si dichiarano sereni e fiduciosi su quanto farà la magistratura, sicuri di non aver commesso nulla di illegale. La Basilicata, terra una volta definita come un'isola felice, non riesce ad esprimere una volontà di reazione. Prova ne è il continuo consenso a personaggi così sfrontati, tanto da far apparire normale l'illegalità e contrapponendola in maniera vincente alla vera legalità.