Era il 20 giugno di quest'anno. Dentro allo stadio "Azadi" (letteralmente "libertà" in iraniano) di Teheran, la nazionale di pallavolo dell' Iran stava affrontando quella dell'Italia, nell'ambito delle partite della coppa del Mondo di pallavolo. All'interno del palazzetto una folla composta da soli uomini.Ghoncheh Ghavami, 25 anni, una giurista di nazionalità iraniano-britannica, era fuori al palazzetto insieme ad un gruppo di persone e stava protestando affinché anche alle donne venisse concessa la possibilità di assistere alla partita. La polizia rispose alla protesta picchiando ed arrestando alcuni dei manifestanti, inclusa la giovane donna, la quale ha raccontato di essere stata percossa e trascinata per diversi metri sull'asfalto.La polizia tenne in osservazione i protestanti per alcune ore, poi decise per il rilascio.





Dieci giorni dopo, la donna si stava recando alla stazione di polizia per raccogliere il suo telefono cellulare quando la polizia decise di arrestarla nuovamente. Gli agenti di polizia la scortarono verso la sua casa dove le confiscarono il computer ed alcuni libri e la portarono quindi di forza verso la sezione 2A della prigione per criminali di Evin, una delle più dure di tutto l'Iran.La donna è stata accusata di "propaganda sovversiva nei confronti del regime" ed era in attesa di sentenza. La sentenza è arrivata oggi: condannata ad un anno di reclusione.La donna è stata detenuta anche in condizioni di isolamento e ha perpetuato uno sciopero della fame.

Nel 2012 il governo iraniano ha deciso di bandire le donne dagli stadi in cui si gioca la pallavolo.

Il provvedimento, è il secondo in questo senso da quando nel lontano 1979, il governo iraniano decise di allontanare le donne anche dalle partite di calcio. La motivazione sarebbe quella di "proteggere" le donne dal "comportamento pericoloso" dei supporters di sesso maschile.

Amnesty International si è già appellata contro la sentenza: "Ghoncheh Ghavami è una prigioniera di coscienza", ha dichiarato un portavoce dell'organizzazione. Più di 700.000 persone hanno già firmato una petizione online per chiederne la liberazione.